Nota Politica. I partiti a un bivio
In questa fase della vita del Paese c'è bisogno di unire le forze per fronteggiare un'emergenza che ha almeno tre facce: sanitaria, sociale ed economica.
Intorno al governo Draghi si è costituita una maggioranza parlamentare eccezionalmente ampia. In una fase della vita del Paese in cui c’è bisogno di unire le forze per fronteggiare un’emergenza che ha almeno tre facce – sanitaria, sociale ed economica – questa convergenza impensabile fino a poche settimane fa appare come una risorsa potenzialmente decisiva. Allo stesso tempo, però, una considerazione realistica delle forze in campo rende legittimo l’interrogativo sull’effettiva capacità di assicurare al governo la coesione necessaria per la realizzazione di un programma estremamente impegnativo.
La discussione intorno alla natura dell’esecutivo e al suo tasso di “tecnicità” o di “politicità” è un esercizio comprensibile, ma piuttosto sterile. Ogni governo è politico, a prescindere dalle pregresse attività professionali o dai titoli di studio dei suoi membri, perché politica è per definizione la sua attività. Diverso è sottolineare come quello attuale non si identifichi in alcuna “formula politica”, per citare l’espressione usata dal capo dello Stato. Proprio questo profilo ha reso possibile l’inedita convergenza tra partiti con priorità programmatiche e culture politiche molto diverse e in alcuni casi radicalmente differenti. Non a caso nella composizione del gabinetto sono stati scelti gli esponenti che nelle rispettive forze di appartenenza si sono distinti per atteggiamenti più dialoganti e più europeisti. Un’accortezza rilevante anche per la navigazione futura dell’esecutivo.
Secondo l’articolo 95 della Costituzione è il presidente del Consiglio dei ministri che “dirige la politica generale del governo e ne è responsabile”, così come è suo compito assicurare “l’unità di indirizzo politico e amministrativo”. Un mandato a cui Draghi non può e non intende evidentemente sottrarsi. Ma se l’ampiezza della maggioranza rappresenterà soprattutto un problema o si rivelerà in primo luogo come una risorsa, dipenderà inevitabilmente dal comportamento dei partiti che hanno accettato di convenire in questa impresa. Che lo abbiano fatto per convinzione, per opportunismo o per disperazione non è indifferente ai fini dell’analisi. Ma sul piano concreto conterà quel che diranno e faranno nei prossimi mesi, dentro e fuori il Parlamento.
Non si tratta di imporre un’uniformità di facciata o di annullare le differenze che in una democrazia pluralista (cioè in una vera democrazia) sono una ricchezza essenziale. Ma di mettere da parte il perseguimento esclusivo degli interessi di parte e di concentrarsi nella ricerca onesta delle soluzioni migliori per il presente e il futuro del Paese. I partiti sono davanti a un bivio: possono cogliere la sfida del governo Draghi come una tregua per rigenerarsi dalle contrapposizioni ideologiche della stagione del populismo oppure come un ombrello da sfruttare in modo strumentale per conquistare posizioni tatticamente vantaggiose in vista di un “dopo” che nessuno, però, è in grado di prevedere.