Natalità. Riccardi: “Serve il coraggio di iniziative che segnino il cambio di passo”
“Purtroppo abbiamo raccontato ai giovani per lo più le fatiche dell’essere famiglia. Siamo una generazione che ha vissuto gravi crisi economiche, in cui abbiamo tenuto duro ma non abbiamo raccontato ai nostri figli il perché. Il fatto che in loro abbiamo trovato la forza per far fronte alle difficoltà, non per dovere ma per speranza viva, è stato affossato dalla fatica e dalla preoccupazione”, dice al Sir la vice presidente del Forum famiglie e di Aibi
“Si può fare”. È stato lo slogan che ha accompagnato la seconda edizione degli Stati generali della natalità (SGdN), promossi a Roma, il 12 e il 13 maggio, dalla Fondazione per la natalità, presieduta da Gigi De Palo. Politici, imprenditori, giornalisti, demografi, sportivi, personaggi dello spettacolo hanno provato a dire che si può invertire il trend che condanna ormai l’Italia da molti anni al gelo dell’inverno demografico. Con Cristina Riccardi, vice presidente del Forum delle associazioni familiari e di Aibi-Amici dei bambini facciamo il punto della situazione sulla natalità nel nostro Paese.
Come ha ricordato il demografo Alessandro Rosina durante gli Stati generali della natalità da oltre 35 anni in Italia c’è un problema di denatalità. Quali sono i principali ostacoli attualmente alla ripresa delle nascite nel nostro Paese?
È difficile definire quali siano i principali ostacoli. La situazione è somma di tanti fattori che possiamo sintetizzare con la mancanza di politiche familiari strutturate (non semplici bonus), quindi dalla nascita della famiglia come, ad esempio, facilitazioni per l’acquisto della prima casa per le giovani coppie, ma ancor prima l’accesso al mondo del lavoro che superi la precarietà in tempi contenuti, la conciliazione famiglia-lavoro per madri e padri, ma si potrebbe pensare a tante altre attenzioni per tutte le fasi di vita della famiglia.
Come si può invertire l’inverno demografico? Quali politiche chiede il Forum delle associazioni familiari?
Il Forum ha sostenuto l’assegno unico universale, siamo però consapevoli che è da migliorare non solo in termini di finanziamento; occorre infatti una revisione dell’Isee perché possa diventare uno strumento veramente equo.
L’assegno unico si basa sull’Isee che non rappresenta in modo efficace e veritiero la situazione economica di una famiglia. Su questo stiamo lavorando per contribuire al dibattito. Non manca comunque l’attenzione ad altri temi quali la conciliazione famiglia-lavoro: durante gli SGdN più volte è stato ricordato che la natalità cresce con l’occupazione femminile. In questo
sarebbe opportuno anche uscire dallo stereotipo dell’agevolare la maternità, occorre fare molto di più anche per i padri per permettere alle famiglie vere scelte lavorative. Siamo consapevoli che l’assegno unico è un primo importante passo, ma occorre ancora tanto impegno.
Durante gli Stati generali, molte voci provenienti da mondi diversi – politica, imprese, media, medicina, sport, arte, spettacolo – hanno provato a dire che “si può fare”. Serve una grande alleanza tra tutti per il bene del Paese? Concretamente cosa auspica?
Che ci sia il coraggio di iniziative che segnino il cambio di passo, come è stato l’assegno unico universale e come sarà il Family Act se applicato correttamente. In questo sforzo saranno particolarmente coinvolte politica ed imprenditoria, ma le famiglie stesse dovranno impegnarsi in termini di proposte, fiducia e speranza per combattere la povertà generativa, su cui Papa Francesco ci ha allertato.
Negli SGdN è stata evidenziata anche la necessità di cambiare la narrazione sulla famiglia e sulla bellezza di avere figli. Secondo lei, qual è la situazione in Italia su questo aspetto? E come dovrebbe essere migliorata?
Purtroppo abbiamo raccontato ai giovani per lo più le fatiche dell’essere famiglia.
Abbiamo costruito un mondo in cui essere genitori è in antitesi con ogni altro impegno, non solo con il lavoro ma spesso anche con la vita sociale e culturale. Siamo una generazione che ha vissuto gravi crisi economiche, in cui abbiamo tenuto duro ma non abbiamo raccontato ai nostri figli il perché. Il fatto che in loro abbiamo trovato la forza per far fronte alle difficoltà, non per dovere ma per speranza viva, è stato affossato dalla fatica e dalla preoccupazione.
Penso che la “cultura del lamento” sia il vero problema, in tante sfere dell’esperienza umana: la famiglia, il lavoro, il volontariato, le comunità parrocchiali…
Ci lamentiamo ma continuando a “stare” nelle situazioni anche senza esserne obbligati. C’è quindi un perché profondo da raccontare. Agli SGdN è stato fatto questo tentativo.
Accogliere bambini adottabili, anche stranieri, può aiutare a vincere la battaglia della natalità? Quali sono i maggiori problemi attualmente dell’adozione internazionale?
L’adozione internazionale potrebbe contribuire ad un’inversione del trend demografico. Perché questo contributo si concretizzi, occorre un impegno forte e deciso: da una decina di anni stiamo assistendo ad una decrescita delle adozioni.
I motivi sono anche in questo caso molteplici. L’Italia è storicamente uno dei Paesi più accoglienti al mondo e il calo delle adozioni non è un problema unicamente italiano. Questo fa pensare che ci sia stato un cambiamento culturale generale legato non solo allo sviluppo della procreazione assistita, ma a tutti quei fattori che sono causa della denatalità stessa. Si aggiunge sicuramente il fatto che l’adozione internazionale è estremamente costosa, che il percorso per l’idoneità è complesso, che i bambini adottabili sono sempre più grandi… Insomma fattori culturali, politici ed economici si intrecciano anche in questo caso. C’è anche poco interesse politico che diminuisce di pari passo con le adozioni, riguardando un numero sempre più limitato di famiglie. Il sostegno all’adozione internazionale, attraverso percorsi semplificati e gratuità, dovrebbe rientrare a pieno titolo nelle politiche a sostegno delle famiglie, perché ogni coppia che lo desideri possa adottare, non solo quelle sterili.