L’oro nero del XXI secolo

Esistono non pochi soggetti che vogliono e bramano sapere tutto di noi e non esitano a offrire ottimi servizi gratuiti per ottenerli

L’oro nero del XXI secolo

Da quando esiste l’umanità il problema della privacy è all’ordine del giorno. Siamo animali sociali – diceva Aristotele – e quindi tutto ciò che facciamo fa parte del dinamismo delle relazioni interpersonali. Alcune cose attengono maggiormente alla sfera privata, altre a quella pubblica. Alcuni fatti abbiamo piacere che siano cosciuti (talvolta molto conosciuti), altri per nulla, vuoi perché ci vergogniamo (ahimè si, non siamo sempre esemplari), vuoi perché, pur non essendoci nulla di male (anzi!) non abbiamo piacere che siano messi sulla pubblica piazza. In sintesi: gossip e uffici stampa sono sempre esistiti.

Perché allora, al tempo dell’intelligenza artificiale, parliamo così diffusamente e in modo giustamente preoccupato di privacy? Per almeno due motivi.

Il primo è di ordine tecnologico: abbiamo strumenti capaci di registrare e raccogliere in modo estremamente efficace e silenzioso quasi tutto quello che facciamo. L’oggetto in questione lo teniamo sempre acceso e sempre con noi (i più giovani lo hanno di giorno in tasca e di notte sotto il cuscino). Ebbene sì, lo scopo principale del nostro smartphone è raccogliere dati su tutta la nostra vita e per fare questo ci offre una serie di servizi clamorosamente utili, facili, gratificanti e apparentemente gratuiti. Inoltre, abbiamo software (ecco l’intelligenza artificiale!) capaci di estrarre una infinità inimmaginabile di notizie dalle nostre tracce digitali che, sapientemente incrociate, generano un insospettabile (per noi utenti finali) flusso di informazioni e documenti su chi siamo, su cosa facciamo e – attenzione! – su ciò che probabilmente faremo.

Ora perché tutto questo sforzo? Perché – e qui sta la seconda novità – abbiamo scoperto che con questi dati ci si può fare una montagna di soldi e si può esercitare un potere quasi infinito. La studiosa americana Shoshanna Zubnoff parla di “capitalismo della sorveglianza”, generato dal surplus comportamentale offerto dalle nostre tracce digitali adeguatamente trattati. I dati sono diventati l’oro nero del XXI secolo: chi li possiede ha ricchezze e potere difficilmente immaginabili. Le informazioni sono diventate uno degli elementi costitutivi della realtà (Luciano Floridi parla di infosfera).

Ecco perché oggi si parla preoccupati di privacy: a differenza del passato, dove tranne rari casi a nessuno interessavano i dettagli della vita quotidiana, ora esistono non pochi soggetti che vogliono e bramano sapere tutto di noi e non esitano a offrire ottimi servizi gratuiti per ottenerli. Perché, come ricorda il famoso docufilm The Social Dilemma: se una cosa è gratis, tu sei la merce.

Cosa fare davanti a questa pervasività insopportabile delle macchine? Il lamento rassegnato è inutile e fa il gioco dei potenti. Iniziamo piuttosto a essere avvertiti: dobbiamo prendere coscienza dei costi e dei limiti della trasformazione digitale in atto. In secondo luogo, impariamo a esercitare la nostra libertà e i nostri diritti, che come sempre accade chiede un po’ di fatica e ascesi. Impariamo a settare la geolocalizzazione del nostro cellulare (che può, se glielo permettiamo, registrare ogni nostro movimento) e a non postare sui social tutta la nostra vita privata o, peggio ancora, quella di figli e nipoti minorenni. Stiamo attenti a quando visitiamo un sito web e ci appare quella fastidiosa schermata che ci chiede se accettare i cookies oppure no: questo impiccio è a tutela della nostra libertà; ogni volta infatti che, per fretta o necessità, accettiamo tutto, diciamo a chi vuole “spiarci” digitalmente che è il benvenuto nei nostri computer.

Quest’ultimo esempio, solo europeo perché frutto di una regolamentazione dell’UE, ci ricorda che possiamo fare molto per custodire la nostra privacy nella cabina elettorale e nei discorsi sul dibattito pubblico. La tutela della privacy è oggi uno dei doveri della politica e delle istituzioni. Ricordiamocelo e ricordiamoglielo!

Andrea Ciucci

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Fonte: Sir