Quanti sono i giovani colpiti da gaming disorder? La dipendenza da videogiochi è stata riconosciuta come un disturbo comportamentale significativo
La gravità del fenomeno è difficile da misurare e a livello internazionale non esistono al momento statistiche in grado di riportare dati esatti

Dal 2019 la dipendenza da videogiochi è stata riconosciuta come un disturbo comportamentale significativo. Dopo gravi episodi che negli anni precedenti hanno coinvolto adolescenti, ma anche giovani adulti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha incluso il “gaming disorder” nella Classificazione Internazionale delle malattie, definendolo come uno schema di comportamento caratterizzato da un controllo ridotto sulla necessità di giocare, dalla priorità data al gioco rispetto ad altre attività (anche vitali, come bere e mangiare) e dalla continuazione, o escalation, del gioco nonostante le eventuali conseguenze negative.
In realtà, negli Stati Uniti il problema della dipendenza da Internet e videogiochi si era già evidenziato alla fine del primo decennio del 2000, periodo in cui sono stati fondati il centro di recupero “reSTART” (2009) a Fall City, nei pressi di Seattle, e il Bradford Regional Medical Center (2013) in Pennsylvania. Alcuni tra i centri più attivi si trovano anche a Mosca, presso la Clinica VIP Vorobjev, e a Londra, dove nel 2019 è stato realizzato il National Centre for Gaming Disorders.
In Italia nel 2016, presso la Fondazione Policlinico Agostino Gemelli di Roma, è nato il Centro Pediatrico Interdipartimentale per la Psicopatologia da Web, già attivo dal 2009 come primo servizio ambulatoriale nazionale dedicato alla dipendenza da Internet.
Ma quanti sono attualmente in Italia e nel mondo i giovani colpiti da gaming disorder?
I dati più recenti, diffusi lo scorso anno dall’Istituto Superiore di Sanità, parlano di circa 500.000 adolescenti italiani (12%) “a rischio”. I soggetti maggiormente esposti sarebbero maschi di età compresa tra gli 11 e i 17 anni . La gravità del fenomeno è comunque difficile da misurare e a livello internazionale non esistono al momento statistiche in grado di riportare dati esatti. Con certezza si può comunque affermare che sono molti i ragazzi che impegnano più di tre ore al giorno dilettandosi con i videogames, una soglia temporale che dovrebbe destare preoccupazione anche perché spesso non accompagnata da alcuna attività ricreativa alternativa.
Quali sono i giochi che creano più facilmente dipendenza? Gli specialisti indicano principalmente tre generi: i multi-player online battle arena games (MOBA), i massively multi-player online role-playing games (MMORPG) e i Battle Royale games (dove i giocatori lottano per diventare gli unici sopravvissuti). Si tratta di forme di intrattenimento fortemente appetibili, sia per la grafica con cui sono realizzati e le dinamiche avvincenti, sia perché consentono una socializzazione “mediata” con utenti che provengono da ogni parte del mondo. Tra i gamer si sviluppa un sentimento di appartenenza e solidarietà. Alla base di questi rapporti virtuali c’è poi spesso una certa ansia sociale: il gioco diventa per alcuni uno spazio protetto, un rifugio dove poter creare una nuova identità per sé stessi. Pensiamo, ad esempio, ai ragazzi insicuri rispetto al proprio aspetto fisico o con problemi relazionali.
A gettare le basi per una eventuale dipendenza ci sono anche altri fattori, come il “loot box” (bottino), ovvero la possibilità di accumulare premi e ricompense in base al numero di ore trascorse a giocare, e il “sunk cost fallacy”, ovvero della “fallacia del costo irrecuperabile” che induce a investire in maniera esponenziale ulteriore tempo in un’attività dove si è già impegnato moltissimo (troppo) tempo.
Le conseguenze psicologiche della dipendenza dal gioco sono simili a quelle di altre dipendenze. I videogiochi rilasciano dopamina nel cervello e generano nel soggetto interessato ansia, depressione, iperattività, bassa autostima e fobia sociale. A volte emergono anche problemi fisici, come l’aumento ponderale e disturbi legati ad alimentazioni non sane.
Non di rado, nelle situazioni più gravi, l’ossessione per i videogiochi porta all’abbandono scolastico, al ritiro sociale (hikikomori) e a episodi di aggressività nei confronti dei familiari.
Le terapie di recupero dei centri specializzati si concentrano sulle emozioni e sugli elementi che sono alla radice delle dipendenze. Si realizzano mediante supporto psicologico individuale e di gruppo e spesso si concretizzano con attività all’aperto come escursioni, lavoro manuale, ecc. Si tratta di percorsi lunghi, che richiedono impegno da parte dei giovani interessati e dei nuclei familiari di appartenenza.