La carne coltivata: a che punto siamo e cosa ci aspetta. Le caratteristiche della "carne coltivata" (sintetica?)
Nonostante i progressi, ci sono ancora diverse domande senza risposta

“Parliamo di carne coltivata, non sintetica,” chiariscono Luciano Conti e Stefano Biressi, professori all’Università di Trento, che studiano come produrre carne in laboratorio con BrunoCell, l’unica azienda italiana del settore. Quando si produce carne coltivata, non si usa niente di artificiale: si parte prelevando un piccolo pezzo di tessuto dall’animale, si estraggono le cellule staminali e poi si fanno moltiplicare in speciali contenitori chiamati bioreattori.
Il modo in cui le cellule crescono è simile a quello studiato per curare malattie umane. “Per la carne, lavoriamo soprattutto a far moltiplicare le cellule e a trasformarle in fibre muscolari che abbiano la consistenza della carne vera,” spiega Conti. Altri scienziati studiano come aggiungere il grasso, i sapori e le sostanze nutritive, e come creare strutture che diano alla carne la giusta consistenza.
Nel 2013, il professor Mark Post dell’Università di Maastricht presentò il primo hamburger di carne coltivata, che costò la cifra incredibile di 250.000 euro. Da allora, molte cose sono cambiate. Oggi Post ha creato Mosa Meat, una delle poche aziende che producono carne coltivata. Il problema maggiore resta il costo delle sostanze che fanno crescere le cellule nei contenitori, necessarie per sostituire il siero prelevato dai bovini usato all’inizio, che oltre a essere costoso comporta sofferenza per gli animali.
Oggi, oltre a Mosa Meat, ci sono altre aziende in prima linea: Upside Foods in California, che ha da poco ricevuto il via libera dalle autorità americane per il suo pollo coltivato, e le israeliane Aleph Farms e SuperMeat. SuperMeat già vende polpette di pollo in un ristorante a Tel Aviv e ha fatto un accordo con il supermercato svizzero Migros per vendere i suoi prodotti entro il 2025. A Singapore, la carne coltivata si può comprare già dal 2020. In Europa ci sono più di venti nuove aziende che studiano questo settore, soprattutto in Gran Bretagna e Olanda.
Anche l’Italia dà un contributo importante a questa nuova scienza. Alessandro Bertero, professore all’Università di Torino, ha creato tecnologie che in Olanda usano per far crescere meglio le cellule. A Roma, il gruppo di Cesare Gargioli dell’Università Tor Vergata usa stampanti 3D per creare fibre muscolari e combinarle con grasso, ottenendo carne coltivata. “Riusciamo a stampare fibre di pecora, maiale e bovino, e stiamo cercando di farle sembrare più appetitose usando coloranti naturali come la barbabietola,” spiega Gargioli.
L’Unione Europea sta investendo soldi nello studio di nuove fonti di proteine attraverso il Green Deal. Anche chi si occupa di viaggi spaziali è interessato: nel 2019, l’Agenzia Spaziale Europea ha portato carne coltivata sulla Stazione Spaziale Internazionale, e la Nasa finanzia ricerche in questo campo. “Durante i viaggi nello spazio che durano mesi o anni non si può portare tutto il cibo necessario, bisogna trovare modi per produrlo a bordo,” spiega Diana Massai del Politecnico di Torino, esperta di contenitori per far crescere le cellule.
Nonostante i progressi, ci sono ancora diverse domande senza risposta. Una preoccupazione riguarda l’energia: i contenitori per far crescere le cellule consumano molta elettricità. C’è poi il dubbio sul valore nutritivo della carne coltivata rispetto a quella tradizionale. “Gli esseri umani si sono evoluti mangiando animali per migliaia di anni. La carne non è solo proteine con i giusti ingredienti, contiene tante sostanze di cui non conosciamo ancora bene l’importanza per la nostra salute,” spiega Massimiliano Petracci dell’Università di Bologna.
Ci si chiede anche cosa succederebbe all’ambiente se abbandonassimo l’agricoltura e l’allevamento tradizionali, che oltre a produrre cibo hanno un ruolo importante nel mantenere il territorio e la natura. “È certo che in futuro mangeremo anche carne coltivata, ma dobbiamo ancora capire come gestire questo cambiamento nel modo migliore,” conclude Petracci. Per questo è fondamentale continuare a studiare.