La lunga strada dell’incontro tra poesia e canzone. Il libro su Fabrizio De Andrè di Graziella Corsinovi

Corsinovi ripercorre la strada del ligure alla luce della critica letteraria, anche se non solo, perché questo è un campo in cui precipitano in una miscela instabile canzone, poesia, tradizioni popolari

La lunga strada dell’incontro tra poesia e canzone. Il libro su Fabrizio De Andrè di Graziella Corsinovi

Fabrizio De André ha attraversato la cultura del nostro paese -e non solo il nostro- permettendoci di capire che non si può parlare di canzoni, di letteratura, di musica come mondi separati e incomunicanti. Le sue canzoni rappresentano un affascinante episodio di un lungo cammino che viene da molto lontano, e fa bene Graziella Corsinovi nel suo “Il colore del vento. Poetica, poesia, linguaggio di Fabrizio De Andrè” (Àncora, 235 pagine, 23 euro) a ricordare un episodio rimosso del Purgatorio: Casella, musicista di cui non sappiamo molto, intona una canzone di Dante, e se Dante veniva messo in canzone (termini classici come “canzone”, “sonetto”, “ballata” dovrebbero farci riflettere) allora questa divisione così arcigna in realtà non significa granché: basterebbe riandare nella Grecia antica, o nei castelli medioevali dove intonavano, accompagnati da alcuni strumenti, le loro liriche i trovatori, o nelle piazze dei villaggi che ospitavano i poeti erranti e i giullari.

Un lungo percorso, dunque, che attraversa anche quello di De Andrè, e che ci riporta alle origini, quando il Faber creò la dissacrante canzone “Re Carlo ritorna dalla battaglia di Poitiers” assieme, non meravigliatevi, erano molto amici, a Paolo Villaggio.

Corsinovi ripercorre la strada del ligure alla luce della critica letteraria, anche se non solo, perché questo è un campo in cui, come abbiamo visto, precipitano in una miscela instabile canzone, poesia, tradizioni popolari -basterebbe pensare a “Creuza de mä”, in dialetto genovese- esperienze personali, letteratura, e molto altro.

Libro importante questo “Il colore del vero”, perché va oltre i consueti riferimenti a Brassens, Dylan e Leonard Cohen (Fabrizio tradusse alcune loro canzoni) e ci fa scoprire autori ignorati dal grande pubblico in realtà piuttosto importanti per lui: ad esempio lo scrittore boliviano Àlvaro Mutis, o quell’Antoine Pol che sta all’origine di “Les Passants” del cantautore Brassens e della intensa rilettura di De Andrè, senza dimenticare Remo Borzini, importante e polivalente artista ligure cui il creatore di Marinella deve molto.

E a proposito di Marinella, l’autrice ricorda giustamente che quella canzone è un omaggio ad una vittima della miseria, una ragazzina di sedici anni costretta a prostituirsi e poi uccisa senza pietà. La prostituzione, la miseria, l’emarginazione sono infatti elementi fondamentali di una poetica che guarda al mondo della buona borghesia come negazione dei veri valori della vita. E allora meglio la vita degli zingari, cantata da Fabrizio come da Dylan, De Gregori, Claudio Lolli e altri, come sottolinea Corsinovi in un lavoro che ripercorre le stagioni delle collaborazioni con Nicola Piovani, Ivano Fossati, Massimo Bubola, Gian Piero Reverberi, Giuseppe Bentivoglio, Mauro Pagani, senza dimenticare che la musica della sempreverde “Via del Campo” è di Enzo Iannacci.

Come si vede un cammino imprevedibile -per fortuna- ma anche irto di spine (il sequestro in Sardegna nel 1979), gli inevitabili periodi di crisi, le discussioni anche dure con alcuni degli artisti che collaborarono con lui. Ma pur sempre una strada che ci avvicina al riconoscimento di un legame molto più profondo di quanto si creda tra canzone, letteratura e cultura in senso più vasto. Un legame che ha portato uno di questi nuovi menestrelli, Bob Dylan, al Nobel per la letteratura.

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Fonte: Sir