L’Italia avrebbe bisogno di un nuovo patto sociale
Servirebbe un grande sforzo convergente e non un'esasperazione dei conflitti per riprendere i fili di un discorso collettivo che sembra sempre sul punto di sfuggire di mano.
L’Italia avrebbe bisogno di un nuovo patto sociale. Non è una fissazione della Cisl, che ha rilanciato per l’ennesima volta la proposta nel suo recente congresso nazionale. È la realtà, se guardata senza occhiali ideologici e personalismi leaderistici, a spingere in questa direzione. Il Paese ha saputo reggere di fronte all’ondata della pandemia ma il passaggio è stato tutt’altro che indolore. Tanto più che mentre si fronteggiavano le pesanti conseguenze economico-sociali (oltre che sanitarie) del Covid è arrivato un secondo durissimo colpo con la guerra scatenata dall’aggressione russa all’Ucraina. E la follia della guerra, lo sappiamo bene, non solo rappresenta una immane tragedia per le popolazioni colpite, ma ha anche effetti devastanti che si ripercuotono a tutti i livelli. Grano e gas sono due parole che da sole evocano scenari drammatici per molte aree del pianeta e anche il nostro Paese deve fare i conti con una situazione profondamente diversa da quella che si poteva prevedere appena pochi mesi fa.
Il percorso dell’attuazione del Pnrr – dei cui fondi l’Italia ha una vitale necessità, anche se alcuni fanno finta di non saperlo o danno tutto per già acquisito – va avanti, ma molto faticosamente. La crisi energetica e l’impennata dell’inflazione (peraltro strettamente collegate) hanno messo in discussione equilibri già precari e incidono ogni giorno di più sulla vita concreta delle famiglie e delle imprese.
Servirebbe un grande sforzo convergente e non un’esasperazione dei conflitti per riprendere i fili di un discorso collettivo che sembra sempre sul punto di sfuggire di mano. Invece i partiti – gran parte di essi – sono ormai preda di una frenesia elettoralistica che rischia di accompagnarci fino alle politiche del 2023, sempre ammesso che si arrivi alla scadenza naturale della legislatura. Il quadro tiene perché con la guerra in corso nessuno per ora azzarda manovre spericolate, ma l’impossibilità pratica di una crisi di governo viene cinicamente utilizzata per tirare al massimo la corda dei propri interessi di partito.
Purtroppo anche dalle parti sociali non arriva quel contributo in senso costruttivo che sarebbe quanto mai prezioso in questa fase. Un esempio significativo: nei momenti più difficili della pandemia, mentre le istituzioni erano impegnate su tutt’altro fronte, sindacati e imprenditori sono riusciti nonostante tutto a chiudere una serie di nuovi contratti. Piccoli miracoli dell’autonomia. Per non parlare del ruolo importantissimo del Terzo Settore la cui soggettività non ha ancora avuto, nonostante notevoli progressi, il riconoscimento strutturale che meriterebbe nella ridefinizione di un nuovo spazio sociale. La suggestione di un nuovo patto ha incrociato anche la posizione di Confindustria e in tempi più ravvicinati quella dello stesso Mario Draghi, inizialmente non proprio sintonico. Purtroppo però è sul versante sindacale che emergono ora i principali ostacoli: la mancata presenza dei leader di Cgil e Uil al congresso cislino ha certificato che la rottura dello scorso dicembre sullo sciopero contro la legge di bilancio è ben lontana dall’essere ricomposta. E purtroppo è difficile non pensare che pesi un certo rispecchiamento nelle dinamiche delle forze politiche.