La festa della mamma? Celebriamola ogni giorno
La vera festa di riconoscenza verso chi ci ha dato alla luce è ogni giorno e resta nel cuore. La riflessione di Antonio Gregolin parte dalla notte dei tempi e affonda la sua verità nel quotidiano materno che ci accompagna.
Erano appena pochi giorni fa, e probabilmente già non ce lo ricordiamo più! Colpa certo della travolgente bolgia di celebrazioni “mondiali” che ogni giorno ci viene propinata da tv e giornali: “Giornata mondiale del…” per tutti i gusti.
Placate quindi le acque della festa da calendario, utilizzo questo voluto e pensato ritardo per ricordare la mamma, quando più nessuno ne parla, e gli auguri sono stati messi da parte. Quando il fine commerciale, sgombera i dubbi sulla genuinità e veridicità di questo momento materno. Sì, perché la mamma è per sempre, come il nostro ringraziamento, e non basta una festa per celebrare l’universo materno in cui siamo perennemente permeati.
Con o senza mamma, la sua presenza è costante in noialtri. Con un “imprinting” materno noi cresciamo. Universo “mater” quindi, che equivale simbolicamente all’altra “mater” universale: la Terra madre. A questo aspirano le primissime forme archetipe della storia: le dee madri preistoriche di 20-30 mila anni fa. Sculture “steatopigiche” che evocano la maternità.
Da allora il suono di “mamma” è preghiera, supplica, aiuto, affidamento e non per ultimo sopravvivenza. Diciamocelo, non saremmo ciò che siamo se non avessimo avuto una “madre”. Sarà perché “mamma” resta, dalla notte dei tempi, il primo dei suoni arcani che gli umani apprendono e non se ne disfano fino alla morte, ma la maternità può essere complice del più profondo dei silenzi, in grado di metterci a nudo. Una madre che guarda un figlio.
Un figlio che guarda una madre: nel mezzo l’intero universo.
Basta un suo sguardo per capire tutto e dirci tutto. La madre conosce. La madre sente. La madre intuisce. È lei in questo infinito “canto dei canti” che ci dona tutto ciò che percepiamo del mondo esterno, quando ci troviamo nel suo grembo.
È lì e solo lì che sperimentiamo quello che i greci definivano il kepos, cioè lo stato assoluto di beatitudine da cui scaturiva la bellezza piena con cui l’individuo si confrontava per il resto dell’esistenza.
Della “mater nostra” parla anche la semplicità di un gesto che ci riporta all’infanzia, quando portavamo una conchiglia all’orecchio, e si diceva: “Mamma senti il mare!”, esclamavamo incapaci d’immaginare che quel suono ci riconduceva inconsciamente al flusso sanguigno che percepivamo nel grembo di nostra madre.
E quand’anche la nostalgia arriva con il suo ricordo, è sempre con un sorriso che onoriamo quando le mamme (venete nel nostro caso) ci ripetevano all’infinito: «Fa l’ometto. Ara che te taio i viveri. Desso ciamo to pare. Va pian e fa presto! Con tuti i schei che ghemo speso pa farte studiare. Desso tiro fora a savata. Vestio cusí te m pari proprio un singano. Varda che te meto in coejo. A te me pari spirità! ecc.».
Certo non è più la festa della mamma, ma fare gli auguri quando più nessuno glieli fa, è un modo per dire che la mamma vale più di una data sul calendario.
Perché la sua vera festa di riconoscenza resta nel nostro cuore.
Dal cuore quindi, auguri mamme. Per sempre, mamme!