Sinodo. L'undicesimo tema, la centralità dell'annuncio. Ma... qual è il centro?

L’11° tema si “interroga” sulla centralità dell’annuncio, in parrocchia, e sulle priorità pastorali che ne derivano. Riflettiamo con tre voci

Sinodo. L'undicesimo tema, la centralità dell'annuncio. Ma... qual è il centro?

“Le priorità pastorali. L’annuncio al centro”: è questo l’11° tema del Sinodo della Chiesa di Padova. Andare all’essenziale, tanto nella vita personale quanto in quella parrocchiale. Ma cos’è essenziale per una comunità cristiana impegnata nell’annuncio del Vangelo? «Se ne parla molto – conferma don Andrea Albertin, biblista – ma ora la sfida è davvero rimettere il Vangelo al centro della vita comunitaria e dire concretamente cosa significhi. È un ritornare alle origini del cristianesimo e occasione per formare una mentalità evangelica biblica, a livello personale e comunitario, cioè quel mondo di valori che indica un modo di guardare alla realtà, in un dialogo fruttuoso e dinamico, in modo che il singolo e la comunità sappiano leggere la storia e i fatti con uno sguardo di fede. Non è dire “capita questo fatto, vediamo cosa ci dice il Vangelo”, ma è dire “il Vangelo come legge questo fatto? Con quali criteri, valori?”. Per entrare in questo modus, serve una formazione». Don Albertin lancia anche un’altra provocazione: la personalizzazione dei testi biblici, intesa non tanto come forma di individualismo o di interpretazione personale e semplicistica della Parola,
ma un poter rileggere la propria storia alla luce dei grandi accadimenti. «Quando è stata la Pasqua nella mia vita o la mia moltiplicazione dei pani, quando ho vissuto un esodo? – sottolinea il biblista – Le grandi categorie a livello del singolo credente e poi della comunità. Rileggere la propria storia, anche le ferite, con le domande esistenziali che ritrovo nella Bibbia non perché mi danno le risposte, ma se le rileggo alla luce della scrittura scopro il dono che Dio vuole farci, cioè darci la forma di Gesù». È chiaro quindi che la conoscenza del Vangelo non può esaurirsi nella messa domenicale «che è un momento soprattutto celebrativo – dice don Albertin – Cioè vado per celebrare quell’elemento di salvezza che ho sperimentato, scopro che davvero si è incarnato nella mia vita. Per molti è l’unico momento in cui si entra a contatto con il Vangelo, anche perché tradizionalmente abbiamo sempre molto puntato sull’eucarestia, come momento di catechesi. Ma, pur rimanendo centrale, è momento di sintesi con tutta la comunità, in cui lodo il Signore perché scopro che questa settimana ho vissuto un esodo, sono risorto, ho fatto esperienza della sua misericordia. Bisogna allora trovare altri spazi per approfondirlo, creare delle piccole comunità, dei gruppi di cammino con la Scrittura e di formazione della mentalità biblica che, sottolineo, non è competenza delle conoscenze, ma come la Bibbia ti insegna a guardare e leggere il mondo, l’uomo, la realtà».

La realtà delle parrocchie è ancora generalmente positiva, c’è vitalità, ci sono domande, c’è partecipazione. «Non è diminuita l’esperienza religiosa delle persone, è ancora viva, sono alla ricerca delle risposte – evidenzia infatti don Franco Rimano, parroco di Santa Tecla in Este – L’iniziazione cristiana ha dato una bella spinta per rimettere l’annuncio al centro e ha dato spazio a un atteggiamento di ascolto delle domande e delle difficoltà della fede, alla richiesta di spiritualità nuova che possa alimentare la vita concreta delle persone. Ora credo ci sia bisogno di un passaggio in più rispetto alla proposta, cioè quali sono i contenuti della fede e gli elementi essenziali della ricerca di fede? Dare senso alla morte, alla sofferenza, al limite che la pandemia ha reso evidente ancora di più. E qui si pone anche un’altra domanda, capire cioè come ridire una risposta di fede a queste sollecitazioni degli adulti. Su questo bisogna lavorarci cercando anche di fare tesoro delle esperienze più significative che stanno avvenendo in Diocesi». Le proposte parrocchiali ci sono, ma spesso appaiono scollegate dalla vita e dalle aspettative delle persone. Secondo don Rimano non è possibile dare una risposta unica per tutte le parrocchie, ma si può affermare che le nostre parrocchie sono ancora legate a una pastorale storica che è prevalentemente basata sull’eucarestia che però fatica a dare una risposta completa. «Bisogna delineare meglio i nuclei di interesse, altrimenti in parrocchia rimane l’attività di socializzazione, che va bene, ma non dà senso, aiuta a costruire relazioni oltre all’individualismo ma non fa cose diverse rispetto a una associazione. Se l’attività della parrocchia è classica, l’annuncio si perde un po’, se invece emergono domande di senso e ci si lascia provocare dal Vangelo allora l’annuncio viene messo al centro. Per questo è importante raccogliere le esperienze più fruttuose e rilanciarle poi in altre realtà». Una delle questioni da affrontare, però, conclude il parroco di Santa Tecla, è chi propone i percorsi di annuncio: «Sacerdoti o laici, in ogni caso bisogna essere preparati, mettersi in gioco, darsi degli obiettivi chiari, calare le idee nella realtà. Sapendo che al centro c’è un recupero della figura di Gesù e un approccio più vicino al Vangelo stesso».

Cambiare la pastorale, certo, ma sapendo verso chi andare

Uno degli elementi di criticità è il rischio dell’autoreferenzialità, di essere troppo legati a schemi e abitudini consolidati che danno sicurezza. Va ripensata radicalmente la pastorale. «Non è che in sé bisogna semplicemente scardinare – spiega Assunta Steccanella, teologa che si occupa proprio di pastorale – soprattutto se non si ha ben chiaro che non si tratta solo di fare le solite cose in modo nuovo, ma di vivere il nostro essere comunità cristiane in modo nuovo. Faccio un esempio: le catechiste mi chiedono una modalità per essere affascinanti con i bambini, perché ritengono sia
importante dire il messaggio della catechesi in modo accattivante. Ma se non so qual è il messaggio centrale che voglio comunicare ai bambini e mi adatto a fare catechesi ripetendo quello che ho detto per tanti anni, quando l’alfabetizzazione cristiana era un fatto sociale, diffuso, condiviso, pur applicando metodi affascinanti non raggiungerò il risultato. Si tratta di ripartire dai nuclei fondamentali della nostra fede e dalla testimonianza di come questo annuncio ha cambiato la mia vita. Servono questi pre-requisiti. Questo credo valga per tutta la nostra azione pastorale». Steccanella è convinta che non sia ancora ben chiaro cosa significhi, da un punto di vista contenutistico, mettere l’annuncio al centro. «Si fa fatica a fare un primo annuncio, a dire qual è il nucleo profondo della nostra fede, l’elemento fondamentale che va testimoniato. Questo è un passaggio importante che mi sembra debole nelle comunità in generale. Si dà molto spazio alla necessità di cambiare le modalità, le prassi, trasformare la pastorale. Però bisogna riflettere su “verso che cosa, per che cosa”, superando la nostalgia del passato, il criterio del “si è sempre fatto così”. Per questo è necessario potenziare i momenti di discernimento, come accade nel cammino sinodale, per capire verso che cosa si vuole orientare l’azione e avere ben chiaro che il cambiamento delle strutture e delle modalità va accompagnato con il cambiamento profondo delle persone, in modo che la dimensione testimoniale diventi primaria del nostro fare pastorale. I cristiani sono chiamati quindi a scoprire o riscoprire la propria fede da un punto di vista testimoniale e missionario, la corresponsabilità per l’evangelizzazione, e con questa prospettiva strutturare la loro azione». Ecco quindi in sintesi, secondo Assunta Steccanella, le coordinate che possono orientare il nostro cammino: «Riscoprire il centro al quale vogliamo rivolgerci e la responsabilità personale da vivere nella vita comunitaria, con la necessità di riscoprire la ministerialità diffusa nel popolo di Dio».

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Fonte: Sir