Opera della Provvidenza di Sarmeola di Rubano. Si fa Pasqua ogni giorno
All’Opera della Provvidenza, pur nella fragilità degli ospiti con disabilità e dei sacerdoti anziani, si respira la gioia del Risorto
Il passaggio della Pasqua dalla morte alla vita interroga tutti anche sui temi della sofferenza e della gioia, due “dimensioni” all’apparenza inconciliabili. Proprio laddove sembra esserci solamente dolore sbocciano fiori di solidarietà e compassione – nella sua accezione di vicinanza alla sofferenza altrui – che attenuano il peso delle difficoltà di persone e comunità. Ne è un esempio l’Opera della Provvidenza sant’Antonio (Opsa) di Sarmeola, luogo di accoglienza delle fragilità umane. Una convivenza arricchente per gli ospiti – mai lasciati soli nella sofferenza e nell’isolamento che questo può provocare – e per lavoratori e volontari che ogni giorno donano la loro professionalità e il loro tempo, come moderni cirenei. Un’esperienza improntata alla valorizzazione della vita e alla celebrazione della gioia pasquale nelle piccole azioni, come raccontano Stefano Zanon e Franca De Simoni, il primo impegnato con i sacerdoti anziani presenti a Casa Mons. Girolamo Bortignon e la seconda, ora da volontaria, accanto alle persone con disabilità. Perché Pasqua non è un giorno sul calendario, ma una festa che si ripete quotidianamente.
Non pietra di scarto, ma fonte di nuova energia
Dal 2018, all’interno di Casa Bortignon, il ruolo di Stefano Zanon come educatore è prezioso per far sì che i sacerdoti ospiti non si sentano isolati. Un compito delicato, come lui stesso spiega, che si concretizza sia nel portare loro le notizie dall’esterno, sia nel proporre momenti di riflessione e di incontro per incentivare la loro aggregazione e socializzazione. Prendersi cura quotidianamente di coloro che, con il loro ministero, si sono spesi per la comunità cristiana non è, all’interno dell’Opsa, solo un lavoro ma molto di più: «Significa guardare in faccia e nel profondo le persone, mettersi al loro fianco ascoltandole – riflette Zanon – So che interagisco con chi pensa di essere una pietra di scarto, ossia non più produttivo e significante per la società; in realtà, camminando assieme agli ospiti, si riesce a far emergere energie che pensavano di non avere. La nostra prerogativa è quella di essere un presidio di umanità». Le piccole attenzioni, per le quali i sacerdoti sono molto riconoscenti, alleggeriscono il peso di una “croce” così non solo sulle loro spalle: «Nel racconto della Passione di Cristo – continua l’educatore – la folla chiede di crocifiggere Gesù, mentre Pilato si domanda cosa avesse fatto di male: allo stesso modo, sembra che la società abbia in passato, e continui ancora un po’ oggi, a pensare all’anziano e all’ammalato come non importanti per la comunità. Dobbiamo provocarci sulla domanda di Pilato, perché i nostri ospiti non hanno fatto nulla di male e, anzi, conoscendoli è possibile portare all’esterno ciò che donano. Facendo comunità, la croce diventa più leggera, ed è per questo che evitiamo che i sacerdoti si isolino e cadano sotto il suo peso». Contrariamente a quello che Zanon vede essere ancora l’immagine comune di una residenza dove trascorrere il tratto finale e più difficoltoso dell’esistenza terrena, l’esperienza all’interno di Casa Bortignon è all’insegna della vita e della condivisione da parte degli stessi ospiti delle sofferenze del mondo: «La nostra comunità non ha una vita pastorale attiva, ma possiede la grande prerogativa di poter pregare per gli altri, come ricordato dal nostro direttore, dal vescovo emerito Mattiazzo e dal vescovo Claudio. Ci sono arrivate dall’esterno molte intenzioni di preghiera che rendono i sacerdoti, ma anche le suore residenti all’Opsa, molto attivi. Sentirsi impegnati per il bene degli altri permette loro di vivere una Pasqua quotidiana». La liturgia diventa così motivo per rafforzare la comunità dei sacerdoti, come successo nella condivisione dei vari momenti quaresimali – dalla lettura delle omelie di padre Raniero Cantalamessa alle lectio tenute da Elide Siviero: «Ospitare nella stessa casa sia sacerdoti che suore – conclude Zanon – è qualcosa di originale. Pur garantendo per quanto possibile il mantenimento della struttura della loro giornata, ognuno porta poi nella condivisione un importante bagaglio di vissuto: le celebrazioni creano un cenacolo nel quale non appare il Risorto, ma c’è una sensazione di vita. Viviamo tutti i giorni all’interno di Casa Bortignon un’ultima cena che non ha il sapore dell’addio, ma di attesa della Risurrezione».
Una seconda famiglia dove la gioia è protagonista
Dopo un periodo milanese, nel 1991 Franca De Simoni torna nella sua Padova dove continua il servizio come crocerossina all’Ospedale civile. In seguito, viene assunta all’Opsa come operatrice nei reparti dedicati alle persone con disabilità, fino alla pensione. Non volendosi separare però dai loro volti – nel frattempo diventati come dei figli – decide nel 2010 di continuare come volontaria, oggi nel reparto “Primo Giovanni XXIII”. Dedicare il proprio tempo agli ospiti significa accompagnarli nei laboratori o nelle passeggiate nel grande parco dell’Opsa, un modo per far compagnia con le attività a loro gradite. Proprio in questo Franca trova la più alta manifestazione della Pasqua: «La loro gioia è anche la mia gioia: dedicandomi completamente a loro, infatti, i miei pensieri e difficoltà spariscono. La felicità pasquale viene qui condivisa con persone che si trovano senza o con pochi legami affettivi: noi siamo per gli ospiti una famiglia, ma allo stesso tempo io non potrei stare senza di loro». Continuare ad alimentare questa comunità attraverso il dono gratuito del proprio tempo è per gli stessi volontari anche una importante palestra di vita: «La soddisfazione di rimandare anche qualche impegno personale, per andare a trovare gli ospiti dell’Opsa è molto grande – continua De Simoni – La miglior ricompensa per questa scelta è il loro grande sorriso di riconoscenza e la loro capacità di guardare con altri occhi i momenti per noi difficili da superare, come una malattia o un lutto». Ed è sempre la gioia la parola chiave per abbattere quei pregiudizi verso il mondo della disabilità che Franca De Simoni ha visto, negli anni, ancora presenti nella società: «Prima della pandemia, alla domenica venivano in visita dei gruppi numerosi di persone; alcune di loro avevano timore ad avvicinarsi e a relazionarsi con le persone con disabilità. Quando si comincia a conoscerle, invece, la loro felicità è talmente grande da riuscire ad abbattere qualsiasi ostacolo e i sentimenti di pietà provati magari all’inizio». L’affiatamento tra volontari e ospiti si consolida anche nei momenti di preghiera e festa comunitaria, come può essere la messa domenicale, occasione per salutare e rivedere ad esempio il marito di Franca, per molti anni volontario all’Opsa, in quello che la moglie descrive come una condivisione – anche se in reparti diversi – di un gesto d’amore. Se i volontari diventano per le persone con disabilità la seconda famiglia – per alcuni anche la prima – è scontato vivere assieme anche i giorni festivi: «Trascorriamo sempre il Lunedì dell’Angelo in compagnia, essendo la domenica di Pasqua dedicata alla celebrazione eucaristica e alle visite dei parenti. Quest’anno è in programma per quel giorno il gioco degli aquiloni e la tradizionale rottura del grande uovo di cioccolato; un’occasione per riscoprire il senso di fratellanza e di unione anche con la famiglia che negli anni si è venuta a creare con i ragazzi dell’Opsa».