Convegno ecclesiale triveneto. Liturgia, crediamo sia centrale per la Chiesa e per la nostra vita?
Dopo la fase diocesana, ora lo sguardo è all’appuntamento triveneto del 30 settembre a Verona
Sabato 20 maggio si è tenuta la fase “locale” del convegno triveneto “Ritrovare forza dall’eucaristia”, in vista dell’appuntamento triveneto del 30 settembre. Le 15 Diocesi della regione ecclesiastica si sono incontrare in contemporanea, ciascuna insieme al proprio vescovo, per poi video-collegarsi con il centro pastorale card. Urbani di Zelarino, per il saluto del Patriarca di Venezia e presidente della Conferenza episcopale triveneto, mons. Francesco Moraglia e del vescovo emerito di Trieste, mons. Giampaolo Crepaldi, delegato triveneto per la liturgia. Il cammino verso questo momento è iniziato nel settembre 2020, dopo la pubblicazione della terza edizione del Messale Romano, «quando la Commissione regionale per la liturgia – si legge nell’invito giunto ai delegati diocesani al convegno – cominciò a interrogarsi sul suo valore pastorale: veniva offerto a tutta la Chiesa italiana in un tempo di profonda fragilità sociale, mentre andavano delineandosi gli itinerari ecclesiali di sinodalità voluti dal Santo Padre». Da qui l’intuizione di dare avvio a un «esame-verifica della vita liturgica delle nostre Chiese del Triveneto», innanzitutto raccogliendo i contribuiti emersi in nella fase di ascolto dei cammini sinodali delle singole Diocesi. «“Ritrovare forza dall’eucaristia” sono le parole che ci guidano nel nostro percorso – ha evidenziato il patriarca Moraglia – che si affianca e anzi che è parte del cammino sinodale delle Chiese d’Italia e del Sinodo della Chiesa universale». All’introduzione di don Gianandrea Di Donna, responsabile della Commissione regionale per la liturgia, è seguita la relazione di suor Elena Massimi, docente di liturgia in università pontificie e presidente dell’Associazione professori di liturgia, che ha provato a individuare «alcune delle possibili cause della distanza tra la liturgia, in modo particolare la celebrazione eucaristica domenicale, e la vita dei fedeli». Occorre però prima sottolineare una premessa, cioè se crediamo che «l’atto liturgico non è né un lusso né una stranezza, ma qualcosa di essenzialmente costitutivo» (R. Guardini, Lettera sull’atto di culto), e porsi una domanda previa: «Siamo veramente disposti a ‘sprecare’ il nostro tempo con e per la liturgia? Crediamo nella sua importanza e centralità per la vita della Chiesa e per la nostra?». Infatti, nonostante dalla sintesi del cammino sinodale risulti che la celebrazione eucaristica è e rimane “fonte e culmine”, si registra però «una distanza tra la comunicazione della Parola e la vita, una scarsa cura delle celebrazioni e un basso coinvolgimento emotivo ed esistenziale. Di fronte a “liturgie smorte” o ridotte a spettacolo, si avverte l’esigenza di ridare alla liturgia sobrietà e decoro per riscoprirne tutta la bellezza e viverla come mistagogia, educazione all’incontro con il mistero della salvezza che tocca in profondità le nostre vite, e come azione di tutto il Popolo di Dio. In tal senso risulta urgente un aggiornamento del registro linguistico e gestuale». Suor Massimi pone un accento sulla «costante incomprensione della natura della liturgia», che come papa Francesco mette in luce nella Desiderio Desideravi (n. 10) «non è un pensiero su Dio, un discorso, ma un’azione», che nella logica dell’incarnazione si esprime con il linguaggio simbolico del corpo, che l’uomo contemporaneo ha però in parte perso. Si tratta anche di recuperare «un’immagine più veritiera dell’uomo, come quell’essere in cui corpo e spirito, esterno e interno, costituiscono un’unità». Viene attribuita a una «ambiguità postconciliare la necessità di capire tutto nella liturgia», da cui sorge poi la domanda: «E se una liturgia in cui si capisse tutto fosse assai povera? La liturgia non è un oggetto, una “cosa” da comprendere intellettualmente, ma è sorgente di significati». Altro aspetto critico della situazione liturgica è espresso dalla domanda: riti senza vita o vite senza riti? Traduce il divario tra liturgia e vita, che spesso si avverte, «come se il celebrare interrompesse la vita», mentre la stessa «liturgia è un atto di vita«. Forse bisogna utilizzare il linguaggio anche della vita quotidiana, ma adattato al contesto liturgico e all’apertura al Mistero. La sfida oggi è anche «curare la comunità in una società senza appartenenza», ma anche esercitare la pazienza di «non temere tempi lunghi nella formazione non solo liturgica, ma cristiana» in una pastorale unitaria e organica.
Gino Cintolo