Padre Stan Swamy, una vita dedicata a difendere gli “ultimi” dell’India
Il gesuita è morto 45 giorni fa in un ospedale di Mumbai. Era accusato, insieme ad un gruppo di attivisti, per il caso Bhima Koregaon, ossia gli scontri avvenuti a inizio 2018 tra le alte caste del Paese e i Dalit, i “fuoricasta” nello Stato del Maharashtra
Quarantacinque giorni fa moriva in un ospedale di Mumbai, in India, padre Stan Swamy. L’ultimo tra un gruppo di sedici persone - tra avvocati, attivisti, difensori dei diritti umani, docenti, studenti e giornalisti - ad essere accusato per il caso Bhima Koregaon, ossia gli scontri avvenuti a inizio 2018 tra le alte caste del Paese e i Dalit, i “fuoricasta”, nello Stato del Maharashtra. Il padre gesuita, arrestato 9 mesi prima nonostante l’età (aveva 84 anni) e il Parkinson in stato avanzato, era stato fermato senza prove e aveva finito per contrarre il Covid-19 proprio in cella. Resterà per sempre un esempio per molti, avendo dedicato la sua esistenza alla difesa degli Adivasi, i popoli indgeni delle foreste indiane. Come dimostrano le prese di posizione, a livello locale e internazionale, seguite alla sua morte.
La battaglia del padre gesuita è sempre stata volta a combattere omicidi, torture, stupri e arresti ingiustificati contro migliaia di Adivasi accusati ingiustamente dall’agenzia federale contro il terrorismo, la Nia. Nel corso della sua vita, padre Stan ha fondato il Vistapan Virodhi Janvikash Andolan (Vvja), un insieme di organizzazioni attive nel contrasto alle violazioni dei diritti umani degli Adivasi, sfrattati dalle terre ancestrali. Inoltre, era coordinatore del Persecuted Prisoners Solidarity Committee (Ppsc), creato per denunciare i numerosi casi di Dalit e Adivasi in carcere da anni in attesa di un processo.
L’accusa lanciata contro il gesuita era quella di “fiancheggiamento” dei ribelli maoisti, che da più di mezzo secolo combattono nelle foreste indiane. In particolare, i ribelli Naxaliti, che Nuova Delhi considera terroristi, cercano di instaurare il comunismo e di difendere popolazioni tribali, Dalit e contadini. Nessuna delle accuse contro padre Stan e gli altri attivisti, però, è stata accompagnata da prove.
La norma che supporta l’attività di persecuzione degli attivisti è l’Unlawful Activities Prevention Act (Uapa), la legge contro il terrorismo che permette di trattenere una persona per 180 giorni senza bisogno di fornire prove. È stata usata spesso per far arrestare chi si oppone al governo, tanto che nel 2019 l’Uapa è stata utilizzata in ben 1.226 casi, segnando un +33% rispetto al 2016.
L’articolo integrale di Maria Tavernini, Padre Stan Swamy, “omicidio di Stato” per il gesuita che difendeva gli ultimi, può essere letto su Osservatorio Diritti.