Salute e solidarietà. Baldo: “Con Respirando diamo la voce ai bambini medicalmente complessi e alle loro famiglie”

“La nostra associazione difende, tutela e considera degna la vita di questi bambini, che sono meravigliosi e hanno una capacità di comunicare amore inimmaginabile”, spiega al Sir la presidente

Salute e solidarietà. Baldo: “Con Respirando diamo la voce ai bambini medicalmente complessi e alle loro famiglie”

Sostenere e dare voce alle famiglie dei “bambini medicalmente complessi”, ovvero quei bambini che dipendono da presidi medici e tecnologici per vivere la loro vita quotidiana, indipendentemente dalla patologia. Bambini in ventilazione meccanica invasiva e non invasiva, in ossigenoterapia, portatori di tracheotomia, nutriti tramite sondino naso-gastrico, peg, pej o per via parenterale. È la “mission” dell’associazione “Respirando”. Parliamo con la sua presidente, Francesca Baldo, medico di Pronto Soccorso e mamma di Carol Maria, 15 anni e mezzo. La famiglia, composta anche dal papà Gabriele Battistelli e dalla figlia maggiore Anna Rita, vive a Pisa.

Dottoressa, ci racconti la sua storia.

Già durante la gravidanza la bimba si muoveva poco, poi è nata prematura. Mi sono accorta fin da subito che c’era qualcosa che non andava. A due mesi perdeva tono e improvvisamente diventava cianotica. Sembrava che morisse. Da lì è iniziato un lungo cammino per cercare di capire che cosa stesse succedendo. Solo con il tempo si è capito che questi episodi improvvisi erano scatenati da episodi infettivi, anche minori.

È stata una grande fatica: non riuscire a capire quale fosse la natura del problema rendeva difficile prevenire e curare.

Quando aveva tre anni siamo stati inviati al Bambin Gesù perché Carol nel frattempo ha cominciato a sviluppare un’insufficienza respiratoria e in quell’Ospedale c’è un centro di eccellenza diretto da Renato Cutrera. A Pisa avevano ipotizzato che fosse malattia neuromuscolare e in questo campo la massima eccellenza è la Mayo Clinic a Rochester, negli Stati Uniti. Quando Carol aveva quattro anni e mezzo ci siamo andati in cerca di una diagnosi esatta, ma l’ipotesi nel tempo non è stata confermata.

Cosa è successo negli Stati Uniti?

Siamo restati colpiti da una pediatria molto diversa con una grande attenzione al bambino.

Ad esempio, facevano un regalino ogni volta che Carol si sottoponeva a un esame o a un prelievo. E poi c’erano dei libricini su ogni procedura a cui doveva essere sottoposto il bambino. Carol, nel frattempo, aveva iniziato a utilizzare la ventilazione meccanica non invasiva. Ho chiesto ad Andrew Engel, un grande luminare, che ci ha ricevuti a 82 anni, se ci fosse un libricino per aiutare i bambini ad accogliere la ventilazione meccanica, avendo fatto fatica a farla accettare a Carol. Il professore suggerì di scriverlo io. Ma allora non ero pronta. Un anno dopo il ritorno dagli Stati Uniti, una mattina mi è venuta in mente una storia da raccontare. Nasce così “La mascherina magica”. In Italia continuavamo a fare controlli ogni tre o quattro mesi al Bambin Gesù, con ricoveri nell’area semi intensiva. A dicembre del 2015, Cutrera mi chiese se me la sentivo di fondare un’associazione che si prendesse cura dei bisogni di quei bambini che, come Carol, dipendono da macchine per vivere, indipendentemente dalla malattia, magari neanche diagnosticata. Avere una condizione medica di dipendenza dai macchinari crea necessità e problematiche simili per la famiglia e per il bambino. E io ho detto sì, poi pienamente condiviso da mio marito. Così è nata “Respirando”.

Non sapevamo a cosa saremmo andati incontro, ma eravamo mossi soprattutto dallo spirito di poter aiutare altre persone che come noi vivevano questa fatica.

Non solo il piccolo paziente e i genitori, ma anche gli altri fratelli o sorelle, che vedono assentarsi per lunghissimi periodi uno dei genitori. Insorgono problemi economici perché è difficile mantenere un lavoro.

Cosa fate con “Respirando”?

I progetti all’inizio erano concentrati sul bambino in ospedale. Come la “collana del coraggio”:

il bambino riceve un filo con una stella su cui è scritto il suo nome e un corallino speciale per ogni procedura medica cui viene sottoposto, per ogni tappa raggiunta e per il tempo trascorso in ospedale, così da creare una collana piena di colori, segno tangibile della sua forza e del suo coraggio. Con questo progetto aiutiamo i bambini ad affrontare la sofferenza e lo stress della malattia.

La collana può servire al bambino per raccontare la sua esperienza durante il ricovero e dopo, favorendo così la presa di coscienza del vissuto mentale ed emotivo che accompagna qualsiasi intervento sul corpo. La collana è importante anche per i genitori che vedono riconosciuti la forza e il coraggio che hanno nell’accompagnare il figlio attraverso la malattia e il suo percorso di cura. Abbiamo realizzato anche gli “Orsetti” che possono essere attaccati al ventilatore. Grazie ad una donazione di Ikea, abbiamo regalato ai bambini in ospedale coprisensori a forma di pupazzetto per i saturimetri che monitorano i parametri vitali ma che hanno una lucina rossa che a volte dà fastidio ai bambini, com’è successo una sera a Carol.

La vostra attività in ospedale ha subito un arresto con il Covid?

Sì, ma questo ci ha stimolato a trovare delle strategie per andare incontro alle famiglie a casa.

Infatti, nel frattempo l’associazione era cresciuta e tante famiglie si erano associate. Ci siamo inventati l’“aperizoom”, incontri di solito molto allegri, ma anche per condividere i vissuti. Una volta una mamma ci disse che si era preparata per questa riunione come per andare ad un matrimonio. Ci ha commosso molto perché molti genitori non escono mai di casa per assistere il figlio. Poi abbiamo iniziato il progetto “Farmacia”: all’inizio del Covid nel 2020, abbiamo pensato di mandare i dispositivi di protezione alle famiglie. Da lì è nata l’idea sostenere economicamente in maniera concreta ma indiretta le famiglie regalando un buono da spendere in farmacia. Nel tempo abbiamo cominciato ad andare a trovare le famiglie, che in alcuni casi si trovano ad affrontare queste difficoltà da sole: così è nato il progetto “Incontri”, un’esperienza meravigliosa grazie alla quale si crea subito una comunione. Come ha detto una mamma,

“Respirando” unisce i cuori d’Italia da Nord a sud.

Abbiamo anche una chat su Whatsapp, dove le 90 famiglie dell’associazione si sostengono vicendevolmente. Nel 2020 è nato un magazine, una rivista gratuita che distribuiamo negli ospedali e a chiunque ce ne faccia richiesta. In questa rivista affrontiamo temi come le cure palliative e raccontiamo i nostri progetti. In ogni numero c’è una famiglia che si racconta. Da tre anni, infine, partecipiamo al Giro d’Italia delle cure palliative pediatriche, promosso dalla Fondazione Maruzza.

Di cosa si tratta?

Le cure palliative pediatriche non sono le cure del fine vita, ma sono le cure della vita, la risposta del sistema alle esigenze dei bambini, la presa in carico a 360 ° del bambino affetto da una malattia inguaribile cronica, con tutta l’assistenza necessaria a lui e alla sua famiglia.

Sono già previste dalla legge 38 del 2010. Il Giro d’Italia serve a sensibilizzare su questo tema. Quest’anno promuoveremo anche un convegno che si intitolerà “Voci di speranza, esperienze familiari e professionali” per informare la cittadinanza sulle cure palliative. Si terrà il 24 maggio a Pisa quando si svolgerà la terza tappa del Giro delle cure palliative pediatriche. La mattina ci sarà il convegno, pubblico e gratuito, con esperti di cure palliative. Nel pomeriggio ci saranno delle attività con clown, attori che narrano storie ai bambini, i cani d’allerta medica dell’associazione Ananda Guna K9. Ci sarà l’ospedale dei pupazzi da medicare. E quest’anno farò anche una postazione dove insegneremo ai bambini piccoli, a ritmo di musica, a fare il massaggio su manichini pediatrici.

Dottoressa, oggi come sta Carol?

Carol sta bene, ha dovuto mettere il pacemaker risolvendo alcuni problemi.

Partiremo per il cammino di Santiago il 27 aprile.

Carol cammina, quando era piccola aveva più bisogno della sedia a rotelle, adesso va meglio come forze, anche grazie alla ventilazione che la aiuta tanto. Certo, il cammino di Santiago è impegnativo. Ci affidiamo! Ci teniamo tanto anche alla sua parte spirituale, perché siamo convinti che sia fondamentale per ciascuno di noi. Ci tenevamo che le nostre figlie, entrambe, e tutti insieme facessimo questo cammino esteriore e interiore.

Dottoressa, quanto la fede vi ha aiutato ad affrontare tutte queste difficoltà?

La fede è a tutt’oggi l’aspetto più importante nella nostra vita.

Sicuramente l’esperienza di Carol ci ha “costretto” ad approfondire la nostra fede. Non mi sono mai chiesta “perché a noi?”, ma “perché così complicata?” sì. Non avere una diagnosi è stato per me, da medico, difficilissimo da accettare perché senza una definizione diagnostica non si hanno neanche gli aiuti necessari. È stata una grande prova per me che ormai da alcuni anni ho lasciato andare e quindi è stato un cammino di purificazione.

Dico al Signore: “Guida Tu, siamo nelle Tue mani”. La fede per noi è stata determinante come famiglia prima di tutto e anche per portare avanti l’associazione. Crediamo tantissimo che l’associazione è un progetto non “nostro”.

Penso che non sia un caso che “Respirando” sia nata proprio l’anno prima che cominciassero a esserci tutti questi casi di bambini a cui hanno staccato le spine: infatti, i nostri bambini sono quelli a cui nei Paesi che si considerano evoluti staccano le spine perché non varrebbe la pena vivere, come Charlie Gard e Alfie Evans. La nostra associazione difende, tutela e considera degna la vita di questi bambini, che sono meravigliosi e hanno una capacità di comunicare amore inimmaginabile. I nostri bambini sono considerati poverini, ma non è così: sono amatissimi e insegnano l’amore alle persone, insegnano a vivere il presente; il più grande regalo che ci ha fatto nostra figlia è imparare a goderci la vita oggi. Io da medico di Pronto Soccorso vedo che c’è il terrore della malattia, si perde proprio il controllo, mentre questi bambini insegnano a stare in questa vita così precaria e a starci bene, perché insegnano cosa è davvero importante: è un messaggio potente che portano con sé.

Carol va a scuola?

Carol va a scuola, fa una vita quasi normale, anche se fa tantissime assenze perché ha visite e ricoveri da fare. Però noi cerchiamo di farle fare tutto, ora, per esempio, prima di partire per Santiago, sarà per il Giubileo due giorni a Roma con il gruppo del Movimento di studenti di Azione cattolica che frequenta. L’accompagnerà sua sorella che ha 21 anni. È stata in gita in Spagna con la scuola e ci è andato mio marito, ha fatto il campo estivo col Msac e ci è andato mio marito che può lavorare a distanza.

Carol può andare ovunque, ma non da sola, ha bisogno del caregiver.

Dottoressa, alla fine, avete avuto una diagnosi esatta?

No,

è una malattia talmente rara che ancora oggi, dopo più di 15 anni, non abbiamo una diagnosi, ma speriamo di averla per il suo futuro.

Avere una diagnosi significa avere un percorso di cura, di assistenza. In ambito pediatrico sono abituati a gestire bambini con sindromi anche complesse multidisciplinari, come nel caso di Carol. Per l’adulto non esistono specialisti che si occupano un po’ di tutto. E diventa un problema. Quindi io spero veramente di riuscire ad avere una risposta prima del suo diciottesimo anno di età, perché altrimenti sarà molto faticoso per lei.

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Fonte: Sir