Restare aperti

Koinoikìa, un’esperienza di vita comunitaria nata per aiutare i giovani a crescere nell’autonomia e nella condivisione. Un cammino che, tra preghiera, amicizia e responsabilità, mi ha aperto alla vocazione e insegnato a vivere con fiducia il presente

Restare aperti

Era dicembre 2014 quando, durante gli esercizi ignaziani, una frase della mia guida spirituale mi entrava nei pensieri e mi premeva un po’ sul cuore, senza che nessuno dei due, cuore e mente, avesse ben capito come e cosa significasse. Rimani aperta. Era un periodo di inquietudine profonda in cui cercavo di trovare il mio posto nel progetto lavorativo di cui facevo parte e di capire a cosa fossi chiamata nella vita. Nel frattempo, M.P., la mia cara amica con cui condividevo il percorso spirituale, continuava a ripetermi che di lì a pochi mesi si sarebbe potuta aprire una possibilità nuova di convivenza tra ragazze, cui don Alessandro stava pensando per contrastare l’eterna adolescenza dei giovani d’oggi, che faticano a lasciare il nido paterno, e per superare una certa solitudine relazionale e l’incapacità di vivere a servizio degli altri. “Ma perché lo chiede a me?” mi dicevo quasi infastidita, io che avevo già lasciato da un anno la casa dei miei e mi atteggiavo, tra me e me, ad emancipata. Per me era scontato dirle: “No, grazie”.

Koinoikìa era il nome di questo progetto di vita comunitaria che don Alessandro Di Medio, appunto il nostro padre spirituale, si era divertito a coniare. Casa comune, casa in comune. Eravamo cinque ragazze e cinque ragazzi che, per niente pronti, si accingevano ad abitare due appartamenti nel quartiere Eur di Roma.

Lasciare il mio monolocale appena comprato dai miei per un salto nel buio. Rimani aperta. La frasuccia mi tornava a saltellare nella mente. Era la prima occasione dal ritiro per aprirmi almeno un poco, tanto, caso mai, mi sarei tirata indietro. Allora dico sì, mi butto. Il primo marzo 2015 entro in casa con le mie nuove compagne. Dovevo fronteggiare ora una spesa che non avevo mai sostenuto: un affitto. E mi sorprendeva come i miei soldi erano sempre abbastanza, ogni volta, ogni benedetto mese. Sentivo in questo una provvidenza sempre pronta a sostenerci tutti. Vedevo come un’organizzazione condivisa ci portava a non avere sprechi, a mangiare sano, a gestire il tempo in modo che entrasse tutto nella giornata: lo spazio personale e quello condiviso, quello dei compiti e quello dello svago.

Ricordo che ci prendeva l’ansia ogni volta che dovevamo preparare i pranzi ufficiali in cui invitavamo la casa dei ragazzi e don Ale, e volevamo essere all’altezza delle donne di un tempo. Eravamo tutte diverse e non ci eravamo scelte: chi lavorava, chi studiava, chi provava a rimettersi in gioco, chi provava ad avvicinarsi alla preghiera, chi la guidava con più diligenza. Sentivo, sì, la fatica di stare un po’ al chiodo con tutti i piccoli eventi e i riti che la “regola”, redatta da don Ale per dare ordine alle case, scandiva. Ma com’era bello poi starci dentro con le risatine, gli sketch divertenti, le relazioni che diventavano sempre più profonde. L’amicizia diventava comunione.

Assaporavamo la bellezza di aprire la casa agli amici con cui condividevamo il percorso per feste, cene e giochi. Allo stesso tempo prendevamo sul serio la fatica dello stare insieme e riuscivamo, con la preghiera e la comprensione tra di noi, a superare momenti delicati e di crisi. Come ci faceva diventare adulti la condivisione settimanale di “Ti ringrazio per…”, “Ti chiedo scusa per…”. E come ci rendeva responsabili la correzione fraterna di certi atteggiamenti che appesantivano l’atmosfera o che si ritenevano nocivi per la persona stessa che li assumeva! Stavamo imparando a diventare sempre più noi stessi, mettendo sul tavolo fragilità, paure, risorse e bellissimi talenti.

Alcuni di noi, grazie al discernimento costante cui eravamo invitati, trovavano il coraggio di abbandonare un lavoro ben retribuito per gettare le reti a destra e investire in un sogno. Perché la speranza che il Signore conducesse ogni cosa la sperimentavamo ogni giorno. Ero approdata in una casa luminosa di volti che mi aiutavano a rimanere aperta. Non avvertivo più il peso di non aver ancora concretizzato la mia vocazione e non sapevo che proprio così, con loro, ci stavo andando incontro.

Loro infatti, le mie “coinquiline”, che da compagne erano diventate sorelle, mi smontavano le rigidità del cuore condividendo le proprie, mi incoraggiavano a provare una conoscenza nuova che io prima non avrei approfondito. Grazie a loro e a questo modo di vivere insieme, quel Rimani aperta ogni volta trovava occasioni per dire sì, con speranza, al mio presente.

Koinoikìa è stata una delle esperienze più divertenti e formative, faticose e commoventi della mia vita finora. Quella che mi ha aperto alla mia vita di ora, con un marito e tre bambini.

Torno dopo 10 anni, in occasione dell’anniversario, e mi strabilia il numero di volti, credo un centinaio, che ci sono passati e che ci sono attualmente. Vederli mi dà un senso di fierezza, mi fa sentire parte di un progetto esteso che dà la possibilità a tanti giovani di aprirsi con fiducia alla propria esistenza.

Caterina Amodio (*)

(*) socia fondatrice della Cooperativa Sophia

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Fonte: Sir