Astronauti bloccati 9 mesi in orbita: ora a casa, ma con rischi per la salute

Dopo nove mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale, gli astronauti Suni Williams e Barry Wilmore sono rientrati sulla Terra. Lunga permanenza e microgravità potrebbero avere conseguenze sulla salute. Il neuroscienziato Giuseppe Iaria spiega i rischi fisici e psicologici delle missioni spaziali prolungate

Astronauti bloccati 9 mesi in orbita: ora a casa, ma con rischi per la salute

Dopo nove mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale i due astronauti statunitensi Suni Williams di 59 anni e Barry Wilmore, 62 anni – rimasti bloccati a causa di un guasto tecnico alla loro navicella spaziale che ha avuto problemi di propulsione ed è stata resa inadatta a riportarli a casa nel tempo stabilito – sono tornati sulla Terra ferma ieri sera. Martedì mattina i due astronauti avevano lasciato la stazione spaziale a bordo della navicella spaziale Crew Dragon di SpaceX atterrati, 17 ore dopo, al largo della costa di Tallahassee, Florida, concludendo una missione che ha catturato l’attenzione mondiale. Con loro sono rientrati il comandante Nike Hague della Nasa e il cosmonata Aleksandr Gorbunov dell’agenzia spaziale russa Roscosmos, a loro volta rimasti nello spazio per circa sei mesi.

Partiti nel giugno scorso con equipaggio della navicella spaziale Starliner i due astronauti statunitensi sarebbero dovuti rimanere sulla Stazione spaziale Internazionale una sola settimana ma, per diversi problemi tecnici, sono rimasti fermi fino a ieri: sono stati 286 giorni nello spazio percorrendo quasi 200 milioni di chilometri.

Una vera odissea, nove mesi, per questi due astronauti che erano già stati nello spazio diverse volte e sono considerati esperti. Questa lunga permanenza potrebbe lasciare conseguenze sulla loro salute, anche a lungo termine.
Il Sir ne ha parlato con Giuseppe Iaria, originario di Scala Coeli (Cosenza), in Calabria, professore di Neuroscienze cognitive presso il Dipartimento di Psicologia all’Università di Calgary e direttore del Canadian Space Health Research Network, in Canada, un’organizzazione non-profit nazionale che rappresenta la comunità scientifica di ricercatori che si occupano di studiare gli effetti delle missioni spaziali sulla salute degli astronauti.

“I due astronauti avevano esperienza e per quanto potrebbe sembrare sorprendente a tutti quanti noi, queste persone, in realtà, sono pronti a tutto anche, come in questo caso, ad affrontare situazioni inaspettate e molto lunghe”, ci dice lo studioso spiegando che gli astronauti trascorrono la loro vita a prepararsi a missioni spaziali “mettendo in conto problemi che alternano di gran lunga la loro tabella di marcia e sono pronti ad imprevisti a volte anche molto pericolosi”. Dal punto di vista della salute “certamente situazioni del genere influiscono molto e la differenza la fa l’esposizione alla gravità spaziale, microgravità e radiazioni di vario genere che potrebbero influire in modo veramente elevato sullo sviluppo di patologie degenerative o forme tumorali”. E poi – spiega Iaria – si possono avere effetti sul sistema vascolare e sul sistema muscolare scheletrico.

Tutti “strascichi che non si avvertono durante la permanenza nello spazio ma dopo alcune settimane dal ritorno sulla terra ferma come avviene anche con alcune alterazioni della vista e dell’orecchio e come abbiamo detto dal punto di vista muscolare”: spesso – aggiunge lo studioso italiano – “manca loro l’equilibrio nel camminare a causa della debolezza muscolare che si è venuta a creare durante la lunga permanenza nello spazio”. Si tratta di un “invecchiamento del sistema muscolare di molti anni e che si riduce, in parte, dopo un anno di terapia al rientro”.

I rischi, quindi, sono tanti e sono nella “natura di questo lavoro che prevede persone che dopo una accurata selezione vengono anche ben preparati accettando tutto ciò “con molta professionalità e responsabilità”. Sono talmente appassionati a questo lavoro di astronauti che – come quelli che ha conosciuto Iaria – “sarebbero pronti ad un viaggio di sola andata per visitare Marte”. Una “forte” dedizione a questo lavoro. Dal punto di vista psicologico l’impatto – spiega il docente d Neuroscienze Cognitive – è “simile a quello che si ha in una missione standard, cioè una mancanza affettiva della famiglia e esposizione allo stress con molta più facilità.

Adesso per i due astronauti, dopo un lungo periodo in orbita, l’abbraccio con colleghi, amici e soprattutto i familiari che avranno tanto da raccontare.

Raffaele Iaria

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Fonte: Sir