Don Peppe Diana. Mons. Spinillo: “Vogliamo far crescere la sua testimonianza di coraggio e speranza in una vita nuova”

Il vescovo di Aversa ha celebrato una messa a Casal di Principe, nel giorno in cui il sacerdote fu ucciso dalla camorra. Martedì 18 marzo un incontro promosso dall'associazione "Familiari e amici di don Peppe Diana" sull'impegno del parroco a favore della custodia del creato

Don Peppe Diana. Mons. Spinillo: “Vogliamo far crescere la sua testimonianza di coraggio e speranza in una vita nuova”
“Il profeta è come la sentinella, vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto di Dio. Il progetto di Dio è un progetto di amore”:

sono parole di don Peppe Diana in un liceo. Oggi, 19 marzo, ricorre il 31° anniversario della sua uccisione, per mano della camorra, nella chiesa di San Nicola di Bari, di cui era parroco. Il giovane sacerdote, che non aveva ancora compiuto 36 anni, si stava preparando per celebrare la messa, nella festa di San Giuseppe, giorno del suo onomastico, quando fu assassinato.

Nel video, mostrato martedì 18 marzo, durante il convegno “Siamo ancora in tempo? La custodia del creato negli appelli di don Peppino Diana”, don Diana, parlando a proposito di confessioni da parte di sacerdoti, chiariva: “Solo due volte ho avuto il piacere, ma dico piacere non perché ci provo gusto, ma forse era un segno di Dio confessare due camorristi. Gli altri non vengono perché la voce della coscienza non c’è. Ciò che manca alla nostra realtà, ciò che manca nelle nostre zone è l’amore”. “Il camorrista è uno che non sa amare – la denuncia di don Peppe -. Se sapesse amare, cari giovani, la camorra non avrebbe senso. Perché la forza della camorra sta nell’odio, nella vendetta”. Parlando con gli studenti, don Diana ha parlato dell’esperienza a Natale ’91 con gli altri sacerdoti e ha ricordato: “Ultimamente ho celebrato nella mia parrocchia un funerale con tre bare a terra. Sono scene che a volte immaginiamo attraverso i televisori, invece no, è la realtà”. Di fronte a ciò, come sacerdoti si sono chiesti: “Che stiamo a fare? Qual è il nostro ruolo? La gente ha fiducia in noi. Cos’è l’omertà nelle zone? Non è tanto nascondere le cose perché alla fine tutti sanno quello che avviene nelle nostre zone. Lo sanno tutti, perfino i bambini. L’omertà invece è crearsi dentro la cultura: ‘Adesso me ne frego degli altri’. Quando noi portiamo sulle spalle il peso della camorra, portiamo il peso della morte”. Di qui l’appello di don Peppe:

“Mettiamo da parte la morte e passiamo alla vita. E la vita significa vivere con gli altri, volersi bene, significa costruire una società a misura d’uomo”.

“La tristezza grande che i profeti hanno portato nel cuore, come quella di Gesù che piange su Gerusalemme, è di non poter condividere la speranza grande per una umanità nuova: è l’ansia di chi annunzia la luce e chiama ad essere partecipi dello stesso cammino coloro che invece agiscono con lentezza”, ha detto, il 19 marzo, mons. Angelo Spinillo, vescovo di Aversa, celebrando, alle 7,30, la messa nella chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, nel 31° anniversario della morte di don Diana. “Allo stesso modo, ci sono molti passaggi del dolore impotente provato da don Peppe nel suo impegno, il dolore di non essere riuscito a trasmettere agli altri la visione di quella vita nuova a cui l’umanità è chiamata”, ha osservato il presule. “Oggi noi siamo qui oggi a celebrare proprio la vocazione di don Peppe alla giustizia di Cristo.

La sua testimonianza di coraggio e di speranza in una vita nuova è la verità che vogliamo far crescere, ogni giorno di più, nelle nostre comunità”, ha concluso mons. Spinillo.

Ieri sera come Chiesa di Aversa, insieme alla sua famiglia, agli amici di sempre e a quanti nel tempo si sono aggiunti alla grande famiglia di don Peppe, il sacerdote ucciso dalla camorra è stato ricordato nelle sue profezie e particolarmente nella sua attenzione al creato. Tra gli impegni missionari che animarono l’apostolato di don Diana c’era la cura del creato in questo vasto territorio che la camorra stava iniziando a profanare, territorio divenuto noto poi come Terra dei fuochi. Dall’incontro del 18 marzo nasce, nell’“Associazione familiari e amici di don Peppe Diana”, l’impegno a continuare il suo ministero tra la gente e per la gente, per quel popolo per cui non ha taciuto fino al suo martirio.

“L’associazione – ci spiega don Francesco Riccio, direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della diocesi di Aversa –, come ha raccontato la sorella di don Peppe Diana nell’incontro di ieri sera, è stata fortemente voluta dai nipoti (figli del fratello e della sorella di don Peppe, ndr), quasi per prendersi cura di questo zio di cui hanno sentito molto parlare, ma lo hanno conosciuto poco perché il nipote più grande quando don Peppe è stato ucciso aveva tre anni, un altro aveva una ventina di giorni e gli altri sono nati dopo. L’associazione nasce proprio da questo desiderio di portare avanti la memoria di don Peppe proprio come famiglia. Ai familiari si sono aggiunti degli amici e hanno creato questa associazione che diventerà però anche un’associazione di tipo religioso. I soci faranno richiesta al vescovo del riconoscimento come associazione di laici a livello diocesano. Infatti,

il loro intento principale è quello di propagare la memoria di don Peppe soprattutto come sacerdote,

facendo conoscere la sua spiritualità attraverso i suoi scritti”. Spesso, invece, evidenzia don Riccio, “sentiamo parlare di don Diana quasi come se avesse una ribellione nei confronti della Chiesa e si spingesse di più su fronte civile. In realtà, quella era una stagione nuova per la Chiesa.

Don Peppe, allora, come altri che ancora oggi portano avanti tante battaglie, ha provato a mettere in pratica il Concilio: lo stile, i sentimenti, le finalità del suo impegno nel sociale erano tutti aspetti del suo essere prete, era la sua pastorale, era la sua passione sacerdotale, che lo spingeva a donarsi per gli altri. E particolarmente viene fuori questo forte legame che aveva con il territorio, perché quelli erano gli anni in cui il territorio iniziava ad essere sciupato dalla camorra.

La città dove viveva, Casal di principe, era una città dove appunto i camorristi vivevano di cemento e di spazzatura. Erano questi due temi su cui don Peppe predicava, soprattutto per sottrarre i giovani alla camorra. Non ci dimentichiamo mai che don Diana l’ha detto più volte che non ce la faceva più a celebrare funerali di persone uccise, soprattutto giovani”.

Il direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali diocesano afferma: “Questo seme e quest’albero piantati da don Peppe devono continuare a portare frutti e questo potrà essere possibile anche con la nuova associazione nata dalla famiglia.

Questo è un seme che può portare tanta bellezza.

Si affiancherà al lavoro anche di altre associazioni che ci sono in ricordo di don Peppe. Ma più impegno c’è, su vari fronti, più i frutti saranno tanti. Questa associazione di familiari e amici avrà la specificità di far conoscere il don Diana sacerdote. Impegno preso, anche negli ultimi 14 anni, da quando è arrivato come vescovo di Aversa, da mons. Angelo Spinillo. Appena è arrivato in diocesi, ha sostato sulla tomba di don Diana e da allora non smette mai di raccontare questa vita, questa storia di santità. La figura di don Peppe è stata al centro della pastorale di mons. Spinillo e di tante iniziative”.

All’incontro sull’impegno di don Diana per la custodia del creato ha partecipato il magistrato Donato Ceglie. “Ci ha raccontato – dice don Riccio – che aveva incontrato don Peppe la sera prima che venisse ucciso. Don Diana iniziava ad avere paura, ma non solo per sé, ma anche per chi gli stava attorno. E si era parlato di fare una denuncia per le minacce ricevute il lunedì successivo e a un’eventuale scorta. Ceglie ha detto chiaramente: Io ero il magistrato e lui il prete. Fuori veniva un’ansia pastorale, un Vangelo da vivere”.

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Fonte: Sir