Parole disarmate, armi deposte, tavoli di pace. Speranza lecita?

Guerra in Europa e sanguinosi conflitti sparsi per il mondo. Roboanti e minacciose dichiarazioni dei leader. Industrie belliche che tornano a produrre a pieno regime. Deve per forza essere questo lo scenario che ci attende? Il Papa invoca la pace, sarà ascoltato? Il vocabolario di Ursula von der Leyen sembra riecheggiare l'adagio "si vis pacem, para bellum". Quale il ruolo dell'Europa nata sulle ceneri della guerra mondiale? Interrogativi che tornano alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles

Parole disarmate, armi deposte, tavoli di pace. Speranza lecita?

“Dobbiamo disarmare le parole”. Ancora una volta Papa Francesco sa sorprendere. Dal letto del Gemelli lancia un monito chiaro: le parole sono specchio dell’anima, dei sentimenti, dei propositi, dei progetti. E se sono parole di guerra, c’è il rischio che alimentino o moltiplichino i conflitti.
Non molte ore dopo il messaggio di Bergoglio, sono risuonate ieri le frasi pronunciate da Ursula von der Leyen alla Royal Danish Military Academy di Copenaghen nell’ambito di un discorso che ha anticipato l’odierno “Libro bianco” sulla sicurezza e la difesa europea. La presidente della Commissione ha affermato che “se l’Europa vuole evitare la guerra, deve prepararsi alla guerra”.

Quasi a ripetere l’antico adagio: “Si vis pacem, para bellum”.

Una dichiarazione in linea con la piega che sta prendendo l’Unione europea, con il progetto “ReArm”, gli 800 miliardi (a debito) per alimentare l’industria bellica, la rinnovata linea della “deterrenza” (altro termine usato da Von der Leyen), la quale rimanda, inutile negarlo, agli anni della guerra fredda.
“Sono parole, solo parole”, si potrebbe obiettare. Ma dove porta un vocabolario bellico? Quali conseguenze hanno le muscolari e militariste dichiarazione dei leader, cui affidiamo il nostro presente e il futuro delle prossime generazioni?
Ancora: quale piega prenderà il Consiglio europeo, convocato per giovedì 20 marzo a Bruxelles, rispetto alle oggettive minacce russe? Quali le ricadute sulla scena mondiale dalle altalenanti posizioni di Trump? Chi si farà carico di lenire le inumane condizioni in cui è costretta la popolazione di Gaza? Cosa aspettarsi in Siria oppure dall’Iran? Chi si ricorda delle altre innumerevoli guerre che insanguinano il pianeta? Quale peso avranno autocrati del calibro del vicino di casa turco Erdogan o del cinese Xi Jinping?
Von der Leyen – che, va detto, si trova in una posizione davvero difficile per le scelte che le competono – ha affermato sempre a Copenaghen che “l’era delle sfere di influenza e della competizione di potere è tornata”.

Dunque “agire ora è un obbligo”, “dobbiamo muoverci adesso”.

Delineando una precisa tabella di marcia europea per produrre armi e irrobustire gli eserciti statali. Perché “la libertà non è un processo, è una lotta costante” in cui “coraggio e volontà di lottare per la libertà” sono unite e “sono il dovere di ogni generazione”.
Mentre il Presidente Usa e l’autocrate russo parlano al telefono del futuro dell’Ucraina (lasciando intravvedere una spartizione delle spoglie), dall’Unione europea, nata sulle ceneri della seconda guerra mondiale con la vocazione della pace, è lecito attendersi ben altro. Un ritorno della volontà di mediare tra le parti, di far prevalere la politica e la diplomazia rispetto ai missili, di creare un “tavolo della pace” dove concordare una tregua immediata che porti a quella “pace giusta e duratura” promessa, ambita, necessaria e non più rinviabile. Disarmando le parole e deponendo le armi.

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Fonte: Sir