Fine vita: i vescovi toscani chiedono di poter giudicare e parlare

Ieri il convegno a Firenze organizzato dalla Cet. Il card. Lojudice “Non vogliamo condannare ma portare le ragioni della speranza”

Fine vita: i vescovi toscani chiedono di poter giudicare e parlare

“Un momento importante per aiutare chiunque volesse per riflettere sul pensiero e sulla fede della Chiesa per quanto riguarda la vita, al di là di scelte politiche di buon senso e altruismo”. Così il cardinale Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo Colle Val d’Elsa-Montalcino e vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, presidente della Conferenza episcopale toscana, ha aperto a Firenze il convegno “Suicidio assistito: aspetti medici, etici e giuridici”, organizzato dalle diocesi toscane dopo l’approvazione della legge regionale toscana 5/2025, che proprio in questi giorni è entrata in vigore dopo la pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione. Lojudice ha rimarcato la necessità di approfondire tematiche “su cui tutti dobbiamo avere coscienza”, senza “condannare nessuno – ha aggiunto – ma cercando di rendere ragione della speranza, che portiamo e quindi anche con la volontà di poter dire quello che per noi è giusto e quello che non lo è”.
Per mons. Gherardo Gambelli, arcivescovo di Firenze, è importante “riflettere sui valori in gioco per realizzare un dialogo difficile su questi temi”, ma anche una possibilità “di trovare il senso della vita e di capire l’importanza del rispetto di essa” tramite la scoperta di “terreni comuni”.
L’ultimo saluto è stato quello del vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro mons. Andrea Migliavacca, in veste di delegato per la pastorale della salute della Conferenza episcopale toscana, concorde sul convegno come opportunità di parola, da rilanciare anche in altri contesti per allargare il dialogo: “offrendo riflessioni e non contrapposizioni – ha concluso – su valori come quello della vita nel rispetto di tutti”.
Subito dopo la parola è passata ai tre relatori scelti dalla Cet per offrire una visione d’insieme del tema: dall’aspetto medico a quello etico, fino a quello giuridico. Il primo intervento è stato quello di Marco Rossi, medico e direttore dell’ufficio pastorale della salute della diocesi di Arezzo, che ha ricordato che “la missione del medico è quella di combattere le malattie, tutelare la vita e alleviare le sofferenze. Il suicidio assistito è un processo estraneo a questo impegno”. Rossi ha portato all’attenzione la grave depressione, non riconosciuta, che spesso accompagna persone malate, e che le renderebbe incapaci di esprimere il consenso informato coscientemente. Pur consapevole della difficoltà per i medici di vedere la sofferenza, Marco Rossi ha rimarcato che “assecondare la richiesta di morte non significa dare a quel paziente ciò di cui ha bisogno”. Al contrario le cure palliative consentono di eliminare il dolore, non la vita: “non significano solo curare, ma compatire, alleviare, sotto tutti i punti di vista”. Sono queste che permettono di “assecondare le sofferenze con un diritto alla vita, non alla morte”.
Padre Maurizio Faggioni, ordinario di bioetica presso la Pontificia Università Alfonsiana, ha affermato che “la malattia e la morte esprimono la fragilità dell’uomo in un modo drammatico. La risposta alla fragilità è curare. Una risposta ovvia e umana di fronte alla sofferenza”. In questo senso “le cure palliative sono una forma privilegiata di carità e per questo devono essere incoraggiate”. Il professore ha portato l’esempio dell’aumento vertiginoso di casi di ricorso al suicidio assistito in Olanda da parte di persone che “hanno perso il gusto dell’esistere”, e poiché per lui la persona umana ha sempre valore e la vita non è meno dignitosa perché con minori qualità, “il diritto a morire non è un diritto”. “Che la cultura della vita sia opposta a cultura della morte: la risposta al dolore non può essere altra morte. La cura, vicinanza, la solidarietà e la misericordia sono la soluzione” è stata la conclusione di Faggioni.
Leonardo Bianchi docente di diritto costituzionale all’Università di Firenze ha approfondito gli aspetti giuridici della legge regionale sul fine vita. “Il suicidio rimane un disvalore penalmente sanzionato nella parte dell’aiuto al suicidio, salvo che non ricorrano le quattro condizioni sancite dalla Corte costituzionale, in assenza delle quali è un delitto” spiega Bianchi e prosegue: “la Corte costituzionale è sempre stata molto chiara: il diritto al fine vita non sofferto e dignitoso deve essere garantito essenzialmente attraverso erogazione cure palliative e sedazione profonda palliativa. La sentenza della Corte è direttamente applicabile ma richiede l’intervento del legislatore nazionale più volte auspicato e non quello di ciascuna Regione”.

Fiamma Andrei

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Fonte: Sir