Una novena laica per Castro. Dai cattolici, preghiera e rispetto
Cuba piange per nove giorni la morte del "lider maximo" Fidel Castro, fino al 4 dicembre, quando l'urna con le ceneri riposerà nel cimitero dei "padri della patria" a Santiago de Cuba. Quali le reazioni dei cattolici cubani? E cosa cambierà ora a Cuba? Ce ne parla don Fully Doragrossa, missionario fidei donum di Genova, per quattro anni parroco di Esperanza nella diocesi di Santa Clara.
«La gente a Cuba è addolorata e anche chi non la pensa come Fidel rispetta il dolore. C’è ancora molto rispetto, misto a un po’ di timore. Non si può mettere musica, non si vendono alcolici, la sera tutto tace e c’è silenzio. Nelle chiese molti lo hanno posto nell’elenco dei defunti per i quali si prega ogni giorno».
Così don Fully Doragrossa, 53 anni, sacerdote fidei donum della missione interdiocesana di Genova, Savona e Chiavari, parroco di Esperanza nella diocesi di Santa Clara, racconta come i cattolici cubani stanno vivendo il lutto per la morte di Fidel Castro il 25 novembre scorso. Questa è la sua ultima settimana da parroco, dopo quattro anni di missione.
Sta passando le consegne a don Pietro Pigollo, già direttore dell’ufficio famiglia dell’arcidiocesi di Genova. I nove giorni di lutto nazionale decisi dal governo fino al 4 dicembre, quando le ceneri di Fidel riposeranno nel cimitero dei “padri della patria” a Santiago de Cuba, dove la rivoluzione è cominciata nel 1959, «assomigliano tanto ad una novena cattolica», osserva don Doragrossa.
Il “funerale del popolo” è iniziato con l’esposizione dell’urna al mausoleo José Martì, con la gente in coda a firmare i registri e salutare il lider maximo.
Martedì scorso il fratello e presidente di Cuba Raoul Castro ha svolto l’atto politico in Plaza de la Revolución, da dove è partita la lunga e lenta processione per "riportare a casa" Fidel: 900 km attraverso l’isola fino a Santiago, dove si trova anche il famoso santuario della patrona di Cuba, la Virgen de la Caridad del Cobre, visitato da tre papi.
«Al santuario del Cobre ci sono gli ex voto della madre, devotissima, che pregava per i figli», ricorda il sacerdote: «Fidel non ha avuto, a quanto si sa, conversioni dell’ultim’ora ma è evidente una certa simpatia per la chiesa cattolica, che non ha mai rotto le relazioni diplomatiche con Cuba».
«Ultimamente Fidel parlava spesso della morte, dell’eternità – racconta il missionario – e una volta sul quotidiano ufficiale Granma è apparso anche un discorso sulle religioni e la loro importanza nel pensiero umano. Fidel scriveva: “Di Gesù Cristo so abbastanza e ve ne parlerò la prossima volta”. Ora ne parla direttamente con Gesù! Nelle messe per i defunti preghiamo per chi si presenta davanti a Dio, colmo di cose buone e meno buone. Sta a Dio giudicare».
Tra i cattolici cubani.
A Cuba non si sono visti, certo (non sarebbero possibili), i festeggiamenti di piazza come a Miami, dove hanno perfino celebrato messe ringraziando Dio «por librar a Cuba de un demonio». L’arcivescovo di Miami Thomas Wenski ha espresso la speranza che per Cuba «venga l’ora della riconciliazione nella verità, accompagnata da libertà e giustizia. Fidel Castro è morto – ha detto - Ora lo aspetta il giudizio di Dio, che è misericordioso ma giusto».
Secondo il missionario genovese, rientrato di recente da una visita a Miami, quelli che hanno festeggiato con «scene isteriche» sono «una minoranza rumorosa e televisiva, ma non tutti sono così, sia della vecchia, sia della nuovissima generazione».
Al contrario tra i cattolici cubani che vanno in chiesa, spiega don Doragrossa, «molte persone amano Fidel, ma non in modo fanatico, sono ben coscienti dei problemi. La rivoluzione ha portato cose molto buone ma tutti sanno che non rappresentano quel modello di sviluppo economico che il governo vuol far credere. I problemi ci sono, tanti. Certamente a causa dell’embargo ma non solo: i cubani non sono scemi, lo sanno. E lo sa anche il partito, che da tempo parla di un cambio di modello economico, perché quello vissuto prima non funzionava se non con i regali russi».
Cosa succederà ora?
La chiesa, grazie alla politica della diplomazia, del dialogo e dei piccoli passi, ha contribuito molto all’apertura di Cuba al mondo, come auspicato da Giovanni Paolo II e poi confermato dalle visite di Benedetto XVI e papa Francesco dal 20 al 23 settembre 2015, fino al processo di distensione con gli Usa e alla storica visita di Barack Obama.
Una strategia che rischia ora di avere una battuta d’arresto con il presidente eletto Donald Trump. Negli ultimi anni i vescovi cubani hanno ottenuto il rilascio di 130 prigionieri politici, più spazio su radio e tv pubbliche e la possibilità di avere dei media propri, anche se controllati dallo stato. Continuano però a chiedere scuole e accesso ai media in modo continuativo.
«Grossi cambiamenti sono in corso già da anni, anche se lentamente – ricorda don Doragrossa – Può essere che ci sia un’accelerazione. Dipende molto dall’atteggiamento che avrà la chiesa. Se si viaggia sulle linee di papa Francesco non ci sono problemi: mancano ancora poche cose perché la chiesa possa svolgere ottimamente la sua missione e in parte è già cosi. L’importante è non fissarsi su spazi, magari di potere, ma poter agire liberamente per aprire processi di formazione e di cambiamento nelle persone che durino nel tempo. La chiesa agisce già liberamente a Cuba ma l’apparato burocratico è talmente mastodontico che, come tutti i cubani, anche la chiesa ne è colpita e rallentata».
La storia lo assolverà?
Parafrasando le parole famose di Fidel Castro, gli esuli di Miami, nel loro sito Cubanet ovviamente pensano di no: «Nonostante i meriti che potrebbe aver avuto il suo lavoro, sul piatto della bilancia il risultato è negativo».
Per il parroco di Esperanza, che lascia tra pochi giorni la sua comunità viva, impegnata e vitale come tipico dei cubani, «la signora Storia per noi ha un nome ed è la storia della salvezza: speriamo che Dio salvi anche lui, l’inferno non si augura a nessuno. Spero che, in fondo in fondo, la sua radice cattolica gli abbia fatto desiderare di conoscere bene quel Dio che nelle teorie studiate all’università aveva rifiutato. Di cose da purificare ce ne sono tante ma un bicchier d’acqua al più piccolo lo ha dato».