«Il ponte è lanciato». Esplode la gioia dei cattolici americani
Monsignor Oscar Cantù, presidente della commissione della Conferenza episcopale Usa per la Giustizia internazionale e la pace: «Spero che questo impegno possa favorire il dialogo, la riconciliazione, il commercio, la cooperazione». Alle critiche del leader repubblicano Marco Rubio ha risposto l’arcivescovo di Miami Thomas Wenski: «Papa Francesco ha agito come avrebbe fatto san Francesco d’Assisi».
Mentre l’America sta ancora metabolizzando l’annuncio clamoroso di una normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Cuba, i media americani, dal New York Times a Time magazine, in edicola in queste ore, sottolineano – come il resto della stampa mondiale – il ruolo attivo e fondamentale di papa Francesco e della diplomazia vaticana nelle fitte trattative dell’ultimo anno e mezzo.
«Sua Santità – ha detto ieri Barack Obama nello storico discorso alla nazione – ha fatto un appello personale a me e al presidente cubano Raul Castro invitandoci con urgenza a risolvere da un lato il caso di Alan Gross», il contractor americano per cinque anni in prigione a Cuba, «e dall’altro quello di tre agenti cubani in carcere da quindici anni negli Stati Uniti».
Grazie al diretto impegno del pontefice si è così giunti a una storica svolta dopo 55 anni di tensioni. Le nuove misure concordate da Stati Uniti e Cuba prevedono, oltre allo scambio di prigionieri, l’apertura di rappresentanze diplomatiche e l’abolizione di restrizioni sui viaggi da e verso l’isola. Capolinea di questo iter sarà la fine dell’embargo, per la quale però sarà necessario il via libera del Congresso Usa.
Il lavoro del Vaticano e quello dei vescovi Usa
Più volte quest’anno papa Francesco ha personalmente incoraggiato il presidente americano Barack Obama e quello cubano Raul Castro a normalizzare le relazioni diplomatiche: lo conferma una fonte del Dipartimento di Stato.
E a questi appelli personali sono seguite missive di Bergoglio a diversi leader dei due paesi per giungere a un miglioramento delle relazioni nell’interesse dei cittadini statunitensi e cubani. L’azione del papa ha costituito parte di un impegno più ampio del Vaticano teso a facilitare le negoziazioni tra i diplomatici delle due parti. Tra i prelati Usa più coinvolti c’è sicuramente il cardinale Seán O’Malley. Sette volte a Cuba dai primi anni ‘80, parte della delegazione che ha viaggiato con Benedetto XVI nel 2012, ha svolto un ruolo importante negli ultimi mesi di negoziazioni.
Il caso Gross e gli agenti cubani
Nelle ultime battute di questa lunga storia di tensioni, spie, misteri e gelo diplomatico spicca la vicenda del contractor americano, Alan Gross. Collaboratore dell’Agenzia americana del dipartimento di Stato dedicata allo sviluppo internazionale, Gross, 65 anni, era stato arrestato nel dicembre 2009 mentre distribuiva materiale elettronico alla comunità ebrea dell’Avana per creare una rete informatica alternativa.
L’uomo è stato condannato per spionaggio con una sentenza a 15 anni. Ora Gross è stato liberato in cambio dei tre agenti cubani detenuti da tre lustri in America con l’accusa di spiare gruppi anti-castristi a Miami, dove risiede il grosso della comunità cubana negli Stati Uniti.
La lunga marcia della diplomazia
«Questo risultato rappresenta una vittoria che viene da lontano», osserva al Sir John L. Allen Jr, editorialista della rivista cattolica Crux. «Per comprenderla bisogna tornare indietro nel tempo, quantomeno alla memorabile visita a Cuba di Giovanni Paolo II. Cuba è un paese al 60 per cento cattolico e i cattolici cubani hanno sofferto molte angherie: si pensi che nei primi anni del regime almeno 3.500 cattolici sono stati incarcerati, uccisi o costretti all’esilio. Per molti decenni l’insegnamento della religione a scuola non era permesso. Senza parlare degli espropri alla chiesa».
Per Allen nonostante questi atteggiamenti negativi del regime verso i cattolici, Giovanni Paolo II scelse la strada «del dialogo e dell’amicizia, chiedendo maggiore libertà d’espressione e di associazione ma trattando Fidel Castro come un capo di stato e non come un pariah». In cambio Castro lasciò nell’armadio l’uniforme militare e si presentò in giacca e cravatta. Poco tempo dopo la visita di Giovanni Paolo il Natale tornò ad essere una festa nazionale a Cuba. Per Allen è stato questo «approccio prudente eppure determinato, che viene da lontano», a permettere al Vaticano di influire in modo così positivo negli ultimi mesi di negoziazioni.
Plauso dell’episcopato statunitense
I più alti prelati americani stanno esprimendo grande gioia per l’annuncio della normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba e per l’impegno condiviso di un futuro di pace e collaborazione.
«Spero che questo impegno possa favorire il dialogo, la riconciliazione, il commercio, la cooperazione e il contatto tra queste due nazioni e i loro cittadini», ha dichiarato Oscar Cantù, presidente della commissione della Conferenza episcopale Usa per la Giustizia internazionale e la pace. Monsignor Cantù si è anche detto felicissimo per la liberazione di Gross.
Le reazioni repubblicane
Dura, invece, la reazione dei repubblicani che criticano il presidente Obama per aver concesso troppo a Cuba, ottenendo troppo poco. La voce più oppositiva è stata quella del senatore Marco Rubio, uno dei possibili candidati alla Casa Bianca per il 2016, figlio di un barista e di una donna delle pulizie arrivati a Miami proprio da Cuba nel 1956.
Rubio ha messo in discussione anche la positività dell’intervento vaticano. A lui risponde seccamente il leader della comunità cattolica di Miami, l’arcivescovo Thomas Wenski: «Papa Francesco ha fatto quel che ci si aspetta dai papi», ci spiega. «Ha costruito ponti e lavorato per promuovere la pace. Ha agito come avrebbe fatto san Francesco d’Assisi».