Francesco e Kirill: nelle loro mani la “rosa” dell’unità e della pace
L’incontro è stato molto cordiale. Un abbraccio, brevi parole di saluto, due ore di colloquio a quattr’occhi, la firma di una dichiarazione comune, un congedo che somiglia tanto a un arrivederci. Non era mai accaduto che un papa di Roma e un patriarca di quella che viene chiamata la “terza Roma”, dopo la sede di Pietro e Costantinopoli, si incontrassero e si abbracciassero. Un altro muro è dunque caduto, un altro sogno si è realizzato.
Dopo mille anni di scisma, di separazione, di scomuniche reciproche, il papa di Roma e il patriarca di Mosca hanno potuto finalmente realizzare un sogno ecumenico.
Primo passo su una strada che “cammin facendo” si spera porti alla piena comunione tra le due chiese cristiane più antiche d’Europa, la chiesa d’Occidente e la chiesa d’Oriente.
Era stato uno dei sogni di Giovanni Paolo II.
Che però è sempre rimasto nel cassetto. A bloccarlo furono varie circostanze, come la decisione vaticana di istituire vere e proprie diocesi cattoliche in Russia, territorio che la chiesa ortodossa considera canonicamente suo.
Non aiutava poi certo l’origine polacca di papa Wojtyla: i rapporti tra russi e polacchi non sono mai stati buoni lungo i secoli.
Per non parlare della forte personalità di Giovanni Paolo II, spesso dipinto come un “conquistatore”, oltre che della difficoltà di trovare un accordo sul luogo dell’incontro.
Qualcosa era sembrato muoversi durante il pontificato di Benedetto XVI.
Senonché nel frattempo, sette anni fa, il patriarca Alessio II è morto e gli è succeduto Kirill. Si parlò allora della possibilità di un tête-à-tête di papa Ratzinger con il nuovo patriarca in territorio “neutro”, ipotizzando una capitale europea. Ma ancora una volta il progetto non si è concretizzato.
Cosa che invece è avvenuta il 12 febbraio scorso a Cuba dopo una preparazione durata due anni.
L’isola caraibica, visitata da Bergoglio appena lo scorso settembre, è stata ritenuta il luogo adatto: un luogo neutro e significativo per le due parti, come ha spiegato il portavoce vaticano padre Federico Lombardi.
Un crocevia nel mondo di oggi e nei suoi sviluppi, un luogo ben conosciuto alla chiesa ortodossa russa, ma anche alla chiesa cattolica romana, dopo le visite di ben tre papi.
Francesco aveva dichiarato da tempo la sua disponibilità a incontrare il patriarca Kirill.
Il 30 novembre 2014, sul volo di ritorno da Istanbul, Bergoglio aveva detto: «C’è la volontà di trovarci. Gli ho detto: io vengo dove tu vuoi. Tu mi chiami e io vengo».
Raúl Castro ha invitato Kirill a visitare Cuba ed è stata studiata la coincidenza del viaggio papale in Messico per consentire uno scalo di poche ore destinato a entrare nella storia.
Diciamo che a livello ecumenico con l’elezione di Francesco tutto si è rimesso in moto.
Il nuovo papa ha subito intensificato i rapporti di amicizia verso tutti gli altri cristiani. È di pochi giorni fa l’annuncio che a fine ottobre Francesco si recherà a Lund, in Svezia, per commemorare con i luterani i cinquecento anni della Riforma. Un altro passo di portata storica. L’ecumenismo è una priorità per il pontefice argentino, che più volte ha parlato dell’importanza della testimonianza comune dei cristiani appartenenti a diverse confessioni.
E non vanno dimenticate le posizioni moderate tenute dal Vaticano e dal patriarcato di Mosca in occasione del conflitto in Ucraina.
Nei giorni scorsi Francesco ha informato dell’incontro imminente anche il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, il quale ha espresso «la sua soddisfazione e la sua gioia».
Ancora una volta Bergoglio, meno legato alle pesanti eredità dei conflitti interni alla vecchia Europa, si muove con libertà, rompendo schemi e dialogando con tutti, abbattendo muri e creando ponti, come sta avvenendo con la Cina.
A me personalmente l’incontro che ha avuto luogo a Cuba, dove il papa ha fatto scalo prima del suo viaggio in Messico e dove il patriarca di Mosca era in visita, ha fatto venire in mente una breve e suggestiva poesia del grande poeta rivoluzionario cubano José Marti, cui fra l’altro è dedicato l’aeroporto dell’Avana: «Coltivo una rosa bianca,/ in luglio come in gennaio,/ per l’amico sincero/ che mi porge la sua mano franca./ E per il crudele che mi strappa/ il cuore con cui vivo,/ né il cardo né ortica coltivo,/ coltivo la rosa bianca».
Una rosa che papa Francesco e il patriarca Kirill non mancheranno di coltivare come simbolo di unità tra le chiese cristiane e segno importante anche per la pace nel mondo.