Se la Corea del nord sopravvive, è solo grazie alla Cina
Ma com’è possibile che una nazione relativamente piccola, arretrata economicamente, isolata dalla comunità internazionale, ridotta allo stremo da una dittatura feroce e lunghissima, possa diventare il pericolo numero uno del mondo intero? La risposta è semplice: grazie alla Cina.
La Corea del Nord infatti è diventata quel che è dal dopoguerra a oggi “grazie” al protettorato di fatto cinese, instaurato da Mao Zedong (1949) fino ai nostri giorni.
Servì nel 1950 per bloccare gli americani che si erano installati nella parte sud della penisola coreana; da allora ha costituito una pistola carica puntata contro il Giappone e le basi americane nel Pacifico occidentale.
È grazie alle generose forniture (alimentari, industriali, di armamenti) cinesi che il regime nordcoreano sopravvive, mentre non sopravvive la gente comune, denutrita e abbandonata a se stessa.
La Corea del Nord è diventata negli anni il cane aggressivo che la Cina può aizzare di volta in volta contro l’Occidente, contro gli americani. Anche formalmente, Pechino ha sempre protetto (in sede Onu, ad esempio) il regime confinante; pure oggi che si cerca di creare un embargo petrolifero a livello mondiale. Tanto, dal confine nord entra di tutto.
Per quanto riguarda le armi, non esiste alcun problema a comprarle un po’ ovunque
Sulla tecnologia nucleare, i nordcoreani hanno avuto aiuti dall’Iran e, come al solito, dalla Cina. L’esercito di Pyongyang è possente, ben armato, fanatico: in pratica comanda il paese.
In cambio, appunto, si fa la faccia cattiva verso il mondo intero.
Ma la Nord Corea paga i suoi debiti anche con modalità che per noi occidentali sono raccapriccianti: ad esempio “prestando” manodopera trattata a mo’ di schiavi ai vicini cinesi per lavori pubblici. O permettendo un lucroso commercio di… donne, un elemento deficitario nella società cinese che nei decenni scorsi, con la politica del figlio (maschio) unico, si è demograficamente quasi suicidata.
D’altronde i nordcoreani sono un popolo schiavo di un élite militare, costretto a un culto della personalità nei confronti dei vari satrapi familiari succedutisi negli anni che supera il ridicolo, se non fosse assolutamente tragico.