Si vota. Serve una "sana angoscia" per il futuro
Grazie agli stimoli che ci stanno venendo dal vescovo Claudio, la nostra chiesa si sta domandando con sempre maggiore intensità: ma come saremo tra quindici anni? E come sarà il mondo in cui saremo chiamati a portare la nostra testimonianza?
Ecco, mi pare che questa “sana angoscia” faccia raramente capolino nelle discussioni politiche. Ed è un peccato, specie oggi che quasi dieci milioni di elettori sono chiamati a scegliere chi lo guiderà, il loro futuro.
Questa domenica poco meno di dieci milioni di italiani si recheranno alle urne per eleggere i loro nuovi sindaci.
Moltissimi degli oltre mille comuni chiamati al voto sono di piccole dimensioni ma ci sono anche quattro capoluoghi di regione (Palermo, Genova, Catanzaro e L’Aquila) e 21 capoluoghi di provincia, tra cui naturalmente Padova.
Considerando tutto quel che è avvenuto nel giro di pochi mesi – il no al referendum costituzionale, un nuovo governo, la spaccatura del Pd, la rielezione di Renzi a segretario – sarà inevitabile guardare all’esito delle amministrative anche come a un test d’apertura per l’ennesima, lunga campagna elettorale che ci attende.
Questione di pochi mesi, con ogni probabilità, specie se l’accordo che i principali partiti hanno trovato sulla legge elettorale reggerà alla prova del voto in parlamento.
Detto questo, a noi rimane comunque la speranza che gli elettori abbiano la maturità necessaria per considerare questo voto anzitutto per quello che è: non un referendum pro o contro il governo, non un antipasto delle elezioni politiche, in cui iniziare a guardarsi e a contarsi, ma il momento privilegiato in cui una comunità locale si interroga sul suo futuro e decide a chi affidarne la guida.
Con questo stile abbiamo provato a “calarci” nel clima elettorale di queste settimane, concentrando la nostra attenzione su Padova: perché è il capoluogo di provincia, per il ruolo strategico che gioca (o dovrebbe giocare) nel panorama regionale, perché torna al voto dopo la traumatica caduta della giunta Bitonci e il commissariamento, un unicum nella sua storia democratica.
Lo abbiamo fatto cercando di fotografare, grazie ai dati e all’opinione degli esperti, lo “stato dell’arte” e le prospettive in alcuni dei settori cruciali per la vita di una città: le politiche sociali, la sostenibilità, il tessuto economico e le prospettive di sviluppo, la demografia, l’integrazione e l’inclusione sociale.
Quel che abbiamo raccontato vale per Padova, ma non solo.
Ci sono fenomeni – si pensi all’invecchiamento, al taglio delle risorse disponibili per la spesa sociale, alle dinamiche dell’economia – che non conoscono confini comunali, tanto meno in un territorio densamente urbanizzato e interconnesso come il Veneto centrale, dove città e provincia coesistono senza più soluzione di continuità.
Anche per questo, spiace constatare come uno dei grandi assenti nel dibattito politico sia stato proprio il tema della riflessione sul governo dell'area vasta in cui il singolo comune si colloca.
Eppure il profilo della città passa più dal rapporto con i centri della cintura, con l’area termale, con la città metropolitana di Venezia, che non dalle sorti di uno stadio. E la qualità della vita passa forse più dai servizi domiciliari e dalla rete di primo soccorso che sapremo offrire a una popolazione sempre più anziana (e sempre più sola…) che non dalla collocazione dell’ospedale.
C’è un altro orizzonte che è rimasto confinato sullo sfondo, ed è quello del futuro a medio-lungo termine.
Grazie agli stimoli che ci stanno venendo dal vescovo Claudio – dai “Cantieri di carità e giustizia” all’iniezione di entusiasmo che sabato scorso abbiamo respirato all’apertura del sinodo dei giovani, in una cattedrale piena e festosa – la nostra chiesa si sta domandando con sempre maggiore intensità: ma come saremo tra quindici anni? Come dobbiamo iniziare a prepararci oggi per non farci trovare impreparati domani? E come sarà il mondo in cui saremo chiamati a portare la nostra testimonianza?
Ecco, mi pare che questa “sana angoscia” faccia raramente capolino nelle discussioni politiche.
Ed è un peccato, perché i fenomeni sociali – si pensi solo all’andamento demografico o all’integrazione degli immigrati – hanno trend di medio-lungo periodo e chiedono per essere affrontati tempi altrettanto lunghi, ben oltre la fisiologica scadenza di una legislatura.
Senza dunque la pretesa di promuovere o bocciare chicchessia, speriamo piuttosto che il percorso che abbiamo compiuto possa aiutare ad avere un quadro più chiaro dei problemi.
A ciascuno, poi, la responsabilità di scegliere il candidato capace di offrire le soluzioni migliori, e soprattutto capace di offrire un senso, un progetto, una direzione di marcia.
Più di qualche volta, in questi mesi, mi è capitato di sentir dire che non si avverte la differenza tra una città commissariata e una città “governata”.
Ma questo è il pericolo maggiore che tutti – quale che sia il proprio orientamento politico – dovremmo scongiurare ridando sale e sapore alla politica, restituendole il suo valore profondo. Perché accontentarsi semplicemente dell'ordinaria amministrazione, per quanto ben fatta, significa rinunciare al gusto della democrazia e accettare implicitamente un grande rischio: perché si inizia dal basso, e non si sa mai dove si va a finire.