Padova verso il voto: una città in equilibrio (demografico) sempre più precario
Padova è una città di anziani, una città complessa in cui vivono 210 mila persone ma ogni giorno ne entrano ed escono 500 mila. Città media con dinamiche da grande anche perché gli studenti universitari sono 60 mila cui si aggiungono cinquemila ricercatori. Il 50 per cento delle famiglie è composto da un solo individuo, e il calo delle giovani generazioni provoca un giustificato allarme.
Nei giardini pubblici dove giocano i bambini l’ingresso è vietato agli adulti “non accompagnati” da un bimbo.
Una decisione nata dalla preoccupazione di tenere al sicuro i più piccoli, che però toglie una possibilità di incontro ai molti anziani che vivono in città e che avrebbero tanto bisogno di sentire le risate dei bambini.
È una città invecchiata Padova, dove si contano 210 anziani ogni 100 bambini: il nostro futuro ridotto del 50 per cento.
Nel 2016 all’anagrafe sono stati registrati 1.547 nati e 2.591 decessi, con un saldo naturale negativo di 1.044 unità, mentre il saldo migratorio – vale a dire la differenza tra chi se ne è andato e chi è venuto a vivere qui – è stato di 472 unità in più.
Comunque la si racconti, ci sono 532 padovani in meno e un trend negativo che si mantiene da almeno una decina d’anni.
A fine 2016 i residenti erano circa 210 mila, tremila persone in meno rispetto al 2011, con un tasso di natalità del 7,37 per cento, mentre quello di mortalità raggiunge il 12,35 per cento.
E per fortuna ci sono gli immigrati, altrimenti i bambini sarebbero ancora meno.
A Padova la loro incidenza arriva al 15,7 per cento, un più 0,5 dal 2011, che vuol dire 32 mila 984 persone: 15.387 maschi e 17.597 femmine.
La maggioranza femminile con tutta probabilità è data dalle molte badanti necessarie per accudire la nostra popolazione sempre più anziana, visto che se si controllano le cittadinanze più rappresentate scopriamo che la metà degli stranieri presenti è composta da rumeni (8.809) e moldavi (4.379).
Gran parte degli stranieri residenti sono persone arrivate più di dieci anni fa, che si sono stabilizzate prima della crisi, vivono con la loro famiglia e si sono integrate nel tessuto economico e sociale.
Anche i dati che riguardano gli studenti lo confermano
Nelle scuole cittadine sono 6.400 gli iscritti con cittadinanza non italiana, vale a dire il 15,5 per cento del totale, e 6 su 10 sono nati in Italia; nella scuola dell’infanzia sono 1.199, il 24 per cento del totale, e quasi 9 su 10 sono nati qui; alle superiori sono 2.055 ma rappresentano il 9,5 per cento del totale e il 28,3 per cento di loro è nato in Italia.
Una fotografia precisa che racconta i mutamenti di una società che adesso comincia a subire in maniera più consistente i colpi della crisi e della denatalità: la direttrice dell'Ufficio scolastico regionale, Daniela Beltrame, già informa di un calo improvviso e consistente degli studenti in Veneto, con 4.662 iscrizioni in meno rispetto all'anno scolastico in corso, perché «mancano i figli degli stranieri e c’è stata una riduzione legata alla denatalità».
Anche a livello nazionale l’Istat aveva registrato un calo di circa 35 mila studenti nell’anno scolastico 2014/15, una diminuzione «non sufficientemente compensata dalla crescente presenza nelle scuole italiane di alunni con cittadinanza straniera, che ammontano al 9,2 per cento degli iscritti».
Padova è in linea con il resto del paese, quindi, ma certo le nuove dinamiche devono essere affrontate ed esigono risposte necessariamente diverse da quelle attuali.
Anche per questo l’Arcella o, meglio, il Quartiere 2 Nord, assume una valenza simbolica e dirompente in questo momento.
Ci vivono 39.066 persone, 91 delle quali hanno più di 95 anni mentre gli ultra sessantacinquenni sono 9.156; ma questo è anche il quartiere in cui abita un terzo dei residenti con cittadinanza straniera presenti a Padova: 5.350 persone, la metà delle quali di età compresa tra i 30 e i 59 anni (2.992) mentre tra 0 e 18 anni sono 1.322 e gli anziani con più di 75 anni sono appena 23.
Sono giovani, sono famiglie, riempiono piazze e strade, gestiscono negozi. Certo negli anni ci sono stati anche dei momenti difficili per la convivenza tra etnie; le risposte sono arrivate con un presidio più accentuato del territorio da parte delle forze dell’ordine e la chiusura anticipata degli esercizi commerciali nell’area a ridosso del cavalcavia Borgomagno e dietro la stazione ferroviaria, ma secondo la Questura qui la presenza di stranieri non causa problemi di sicurezza maggiori che in altre zone della città.
Si leggono i numeri dell’anagrafe: sembrano asettici, ma si colgono le difficoltà delle famiglie, la situazione degli anziani, il punto in cui è arrivata l’integrazione degli immigrati, le aspettative dei giovani, le condizioni delle periferie. Si leggono i numeri e si coglie il cambiamento, perché in dieci anni le condizioni della gente sono cambiate molto e non tutti sembrano essersene accorti.
L’equilibrio delle famiglie, per esempio.
In città si contano 100.374 famiglie e 44 mila 457 di queste – poco meno della metà – sono composte da una sola persona. Non è solo un problema di solitudine, con la necessità di servizi dedicati nel momento in cui non ci fosse autosufficienza, ma significa ripensare gli spazi abitativi, i negozi, le tariffe; significa creare centri di aggregazione, momenti di incontro, scambi culturali.
Le famiglie composte da due componenti sono 26.145, quelle da coniugi con o senza figli sono 37.061, quelle composte da un solo genitore con figli sono 13.742, mentre quelle con componenti di cittadinanza straniera sono 14.112.
Padova è un universo in cui le persone coniugate e quelle che si dichiarano single sono in entrambi i casi il 42 per cento della popolazione, i vedovi sono l’8 per cento, i divorziati il 4.
I matrimoni celebrati nel 2016 sono stati 473: di questi 177 con rito religioso e 296 con rito civile; in 157 casi almeno uno degli sposi era straniero.
Non ci sono dati sulle convivenze, ma il 42 per cento di single potrebbe in realtà contenerne molte. Inoltre se si passa dai numeri alla strada si scopre che non sempre chi vive da solo è veramente solo, perché la rete di relazioni parentali è forte: «Da un’indagine svolta nel 2012 sulle madri di bambini di età 0-2 anni era emerso che il 30 per cento di loro vive a meno di 100 metri da un genitore e/o un suocero e il 70 a meno di un chilometro. Gran parte dei bambini piccoli vive vicino ai nonni, che in un caso su tre si occupano dei nipotini mentre i figli sono al lavoro» scrivono in un saggio Gianpiero Della Zuanna e Emiliana Baldoni.
Una città che invecchia, Padova, e che potrebbe però attingere alla grande risorsa rappresentata dai 58 mila studenti universitari: un buon numero di questi certamente sono padovani e pendolari, ma con tutta probabilità almeno il 50 per cento per seguire gli studi ha scelto di vivere in città.
Una quantità di giovani aperta al mondo e pronta a costruire futuro che non dovrebbe essere vissuta come un corpo estraneo, ma coinvolta con azioni strutturali che possano creare un circuito virtuoso.
Padova però deve fare i conti anche con la sua capacità attrattiva, perché ogni giorno sono circa duecentomila i pendolari che tra studenti delle scuole superiori e lavoratori entrano al mattino ed escono a fine giornata.
Un numero non indifferente che, a parte la zona industriale, genera dei quartieri in cui la vita sociale, dopo l’orario d’ufficio, non esiste e le attività commerciali sono attive solo in funzione delle necessità di questi lavoratori.
Inoltre ogni giorno arrivano in città turisti e pendolari occasionali, persone che devono usare le strutture sanitarie piuttosto che incontrare amici e parenti, per cui si calcola che in realtà su Padova gravitino circa mezzo milione di persone al giorno, il che la colloca tra le 10 città più popolose d’Italia.
La gran parte di questo pendolarismo si consuma in auto e questo, oltre ad inquinare, comporta dei tempi di percorrenza lunghissimi.
I comuni della cosiddetta “cintura” si collegano alla città senza soluzione di continuità, ma le politiche sovracomunali gestite in maniera integrata sono poche. Eppure se il progetto della “Grande Padova” fosse affrontato, anche molti dei problemi demografici vissuti dalla città potrebbero diventare più semplici.
I paesi che confinano con Padova per molti anni hanno infatti accolto chi in città non trovava casa o desiderava vivere uno spazio meno urbanizzato.
Adesso sembra che il fenomeno si stia riproponendo, ma non sono più i giovani in cerca di prima casa ad emigrare, bensì la fascia d’età compresa tra i 40 e i 60 anni.