Ogm si o no? Venerdì convegno dell'Ucid a partire dalla Laudato si'
Nell’enciclica Laudato si’ papa Francesco affronta in modo diretto molte delle questioni al centro del dibattito – e talvolta dello scontro – fra ambientalisti e fautori del progresso senza limiti. Fra questi il nodo degli Ogm, organismi geneticamente modificati: un tema spesso oggetto di fraintendimenti e facili semplificazioni, al centro della riflessione proposta da Ucid Padova venerdì 22 aprile alle 21 al centro Civitas Nazareth in via Nazareth 38 a Padova.
Ospite della serata è l’imprenditrice agricola Deborah Piovan: laureata in scienze agrarie con una tesi sul miglioramento genetico, ha sempre continuato ad approfondire il tema dell’applicazione delle tecnologie in agricoltura.
Nell’enciclica papa Francesco prende atto della complessità di un tema che non può essere liquidato con un giudizio generale, dal momento che i casi «possono essere diversi fra loro e richiedere distinte considerazioni».
Come già per altri temi che riguardano l’applicazione della tecnologia e degli esiti della ricerca scientifica, il papa spiega che «i rischi non vanno sempre attribuiti alla tecnica stessa, ma alla sua inadeguata o eccessiva applicazione». Papa Bergoglio ricorda come «le mutazioni genetiche sono prodotte molte volte dalla natura stessa e (…) tuttavia in natura questi processi hanno un ritmo lento».
Nell’enciclica si spiega poi che «sebbene non disponiamo di prove definitive circa il danno che potrebbero causare i cereali transgenici agli esseri umani e in alcune regioni il loro utilizzo ha prodotto una crescita economica che ha contribuito a risolvere alcuni problemi, si riscontrano significative difficoltà che non devono essere minimizzate». Fra queste papa Francesco indica il rischio di una progressiva concentrazione delle terre nelle mani di pochi.
Da queste considerazioni non discende un giudizio netto, ma l’invito a «un dibattito scientifico e sociale che sia responsabile e ampio (…) a volte non si mette sul tavolo l’informazione completa, ma si seleziona secondo i propri interessi».
Da qui la necessità di luoghi di dibattito “aperti” e di linee di ricerca «autonome e interdisciplinare che possano apportare nuova luce».
Sul tema degli Ogm la posizione di Deborah Piovan è chiara
«Certo non rappresentano la panacea di tutti i mali, ma sono comunque un’opportunità, purtroppo “sprecata” dal nostro paese. La ricerca su questo fronte permette di rispondere a nuove sfide quali le soluzioni alle patologie che colpiscono le coltivazioni o la riduzione del fabbisogno idrico. Se non c’è libertà di ricerca non possiamo attenderci risposte...».
Emblematico, secondo la Piovan, il caso degli ulivi dell’università della Tuscia: coltivati fin dal 1982 con l’intenzione di trovare «varietà di piante resistenti ai patogeni, per contenere l’uso di pesticidi, proprio quando la ricerca trentennale stava producendo risultati importanti, che avrebbero aiutato a far luce su questo tema, sono stati bruciati nel 2012 su ordine del ministero dell’ambiente».
La richiesta-denuncia era arrivata da Mario Capanna, presidente della fondazione Diritti genetici, che aveva rilevato come alla scadenza dell’autorizzazione tre anni prima non fosse stato concesso il rinnovo. Oggi l’Italia è uno dei pochi paesi in cui è vietata sia la coltivazione di prodotti agricoli geneticamente modificati sia la sperimentazione “in campo”, ovvero la coltivazione a scopo di ricerca. «Con il risultato – è il commento amaro della Piovan – che i nostri migliori “cervelli” fuggono all’estero e i brevetti creati nel nostro paese vengono messi a frutto altrove. È il caso, ad esempio, delle mele resistenti alle malattie grazie all’innesto di un particolare gene, “scoperte” dal professor Siviero Sansavini dell’università di Bologna a fine anni Novanta: mele che non necessitano di pesticidi e che oggi vengono coltivate in Olanda».
Secondo la Piovan ci sono poi molti esempi che dimostrano come l’introduzione di Ogm possa rappresentare un beneficio anche per i piccoli coltivatori: «In India l’introduzione del cotone Bt ha eliminato i trattamenti insetticidi, praticati dai contadini indiani senza protezioni e precauzioni di sorta, spesso con gravi conseguenze per la loro salute. In Bangladesh la melanzana non trattata “creata” grazie alla ricerca congiunta fra l’università locale e gli atenei di Stati Uniti e Australia, i cui semi sono stati distribuiti gratuitamente agli agricoltori, sta migliorando le loro condizioni di vita...».