Padova, le porte sante e l'uscio della Carità
Nel cuore della città del Santo, al termine del Giubileo, rimane aperta la porta della Carità, un segno concreto di attenzione e vicinanza a chi soffre. Ma la diocesi, in questo anno santo, ha anche scoperto la parrocchia del carcere, grazie alla porta santa del Due Palazzi, e Leopoldo Mandic, piccolo frate ma gigante della Misericordia.
Ripercorri l'intero cammino dell'Anno santo nel nostro speciale dedicato al Giubileo della Misericordia.
Una porta. Spalancata, accogliente, aperta tutti i giorni. È ciò che rimane a Padova del giubileo che si è appena concluso.
È vero: tutte le cinque porte sante presenti in diocesi si sono ormai chiuse. Ma a sostituirle è rimasto il piccolo uscio di piazza Duomo 11. La porta della Carità è il simbolo scelto dal vescovo Claudio Cipolla e dalla chiesa padovana per ricordare questo anno santo in cui tutti, secondo la speranza di papa Francesco, hanno potuto sentirsi amati, «molto amati», per uscire da un rancoroso isolamento a cui spinge una quotidianità segnata dalla difficoltà, a volte anche dal sentirsi esclusi, magari da una chiesa che ha anteposto per troppo tempo la norma all’uomo.
Ebbene, dal 6 novembre, giorno in cui ha chiuso i battenti la porta santa della Cattedrale, nell’appartamento messo a disposizione dalla diocesi, a sentirsi più amati saranno persone e famiglie che attraversano situazioni di disagio, accolte da Caritas Padova.
E così l’amore auspicato dal pontefice continuerà a perpetuarsi. Un segno certamente non paragonabile alla grande Casa Madre Teresa di Sarmeola di Rubano, voluta dal vescovo Mattiazzo per i malati di Alzheimer alla fine del giubileo del 2000. Ma destinato a rimanere come monito costante, per tutti e nel cuore della città, alla gratuità che è «il frutto maturo di questo anno», come ha detto il vescovo Cipolla aprendo la porta della carità.
C’è però un’emozione che questo giubileo ha riservato ad almeno duemila fedeli padovani e che non potrà essere cancellata dai loro cuori.
Sono i duemila che, assieme alle loro comunità, hanno attraversato la porta santa del carcere di massima sicurezza Due Palazzi. Ogni domenica, sacerdoti e parrocchiani da ogni angolo della diocesi si sono riuniti nella piccola cappella del carcere per celebrare l’anno santo assieme ai detenuti. E così, i membri di questa “parrocchia” unica nel suo genere sono oggi più integrati che mai nel tessuto della chiesa locale padovana.
Infine, l’anno santo della misericordia ha permesso alla città di Antonio di riscoprire Leopoldo.
Il piccolo cappuccino dalmata, anche lui padovano di adozione, chiamato – a sorpresa – a Roma, assieme a san Pio, in quanto santo simbolo della più pura Misericordia.
«Non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere», ha scritto papa Francesco nella lettera apostolica Misericordia et misera alla chiusura dell’anno santo.
San Leopoldo Mandic questo lo sapeva bene e nei lunghi anni trascorsi nel confessionale di Santa Croce lo ha praticato. Anche per dare la possibilità di accostarsi alla figura di questo piccolo grande uomo, le sue spoglie rimarranno esposte nel santuario a lui dedicato almeno fino a primavera. E sarà il segno di una grazia che continua nel tempo, di una porta che rimane aperta.