"Testimoni di misericordia", la seconda uscita in regalo
A chiusura dell'anno giubilare, regaliamo ai nostri lettori il secondo speciale "Testimoni di misericordia" che è realizzato in sinergia con La Voce dei Berici e che è possibile scaricare gratuitamente in pdf. Il focus di questa seconda pubblicazione sono le opere spirituali che, come spiegano i due direttori Guglielmo Frezza e Lauro Paoletto, costringono a un continuo esame di coscienza per soddisfare le esigenze profonde e meno visibili dell'animo umano.
Questo giubileo che si va chiudendo lascerà un’eco profonda. Non perché sia vissuto di gesti eclatanti – per quanto non siano mancati i momenti destinati a rimanere nella memoria di chi li ha vissuti – e nemmeno per i numeri dei pellegrini giunti a Roma, certo significativi ma da coniugare con quelli ben più alti di chi ha varcato la Porta santa nella propria diocesi, nel primo giubileo realmente diffuso che la chiesa cattolica ha celebrato.
Il suo lascito più vero è racchiuso nella bellezza e nella forza di quella parola, misericordia, che papa Francesco ha voluto indicare al mondo come chiave per costruire un futuro migliore, alla luce della Parola di Dio, per l’umanità intera.
E nei passi che hanno segnato questo Anno Santo è emerso in modo chiaro e netto che la misericordia o è concreta, o è prassi vissuta nella quotidianità oppure non è. In questo senso abbiamo imparato a scoprire tutto il significato esistenziale e pedagogico delle opere di misericordia che la chiesa affida a ciascuno di noi e a ogni comunità. È la misericordia di chi si china sui più deboli, scorgendo nel loro volto il volto stesso di Cristo. Ma se le opere corporali – a cui abbiamo dedicato il primo inserto pubblicato la scorsa primavera e realizzato in collaborazione tra i settimanali diocesani di Padova e Vicenza – sono i più visibili segni di attenzione a cui siamo chiamati, è nelle opere spirituali che, forse, possiamo scorgere ancor meglio e ancor più in profondità il “cambio di passo” a cui questo giubileo ci richiama.
Come ci ricorda Dario Vivian nella sua illuminante riflessione, esse ci invitano a passare dai bisogni concreti e immediati alle esigenze profonde e meno visibili, quelle che domandano «gli occhi del cuore, capaci di vedere l’essenziale altrimenti invisibile». Se le leggiamo in questo senso, ecco che le opere di misericordia spirituale perdono ogni patina di antico, di agiografico, di consolatorio e ci si presentano in tutta la loro stringente attualità, in un tempo, il nostro, sempre più caratterizzato da (gravi) bisogni esistenziali, relazionali, spirituali.
Non solo: ci provocano a un continuo esame di coscienza, perché non vivono di gesti straordinari – non sono per «pochi eroi capaci di scelte radicali», come ci ricorda ancora Vivian – ma s’incarnano nella quotidianità dei nostri rapporti di vita e ci spingono a guardarli attraverso una luce nuova. E, per questa via, a farci davvero carico di quel tumulto interiore che troppo spesso imbriglia l’anima delle persone e di un’intera società.
Guardiamoci attorno: non è forse questa nostra epoca segnata più di ogni altra dal dubbio, finanche sul senso stesso della vita? Non è forse la mancanza di conoscenza, anzi meglio ancora l’impossibilità di accedere alle fonti della conoscenza, una delle povertà emergenti e uno degli ostacoli più grandi alla piena realizzazione delle persone? Non è forse vero che nelle nostre città, dal condominio ai quartieri, viviamo un esplodere di tensioni che quasi sempre si radicano nell’incapacità di una convivenza che si nutra anche di perdono e (reciproca) sopportazione? E quanto dell’alienazione che vediamo crescere nella società occidentale è figlia di rapporti umani puramente esteriori, in cui non c’è più spazio per accogliere il dolore altrui?
Sono tutti, questi, temi che affollano le pagine dei trattati di sociologia e che segnano il dibattito filosofico contemporaneo. Fosse solo per questo, fermarsi a ragionare sulle opere di misericordia spirituale non sarebbe tempo perso. Per un credente, a ben vedere, sono anche qualcosa di più: sono i mille volti di un’umanità ferita, incerta, smarrita, in cui il papa ci chiede di stare come “ospedali da campo”. E le periferie esistenziali tanto care a Francesco non sono solo quelle che si affastellano ai bordi delle città: altrettanto smisurate e dolenti sono quelle che albergano nel cuore degli uomini, senza spesso avere la forza nemmeno per chiedere l’aiuto di cui avrebbero bisogno.
Riattivare legami e relazioni, nell’ordinarietà della vita feriale, è il primo passo che ci viene chiesto. Illuminarli con l’annuncio della bellezza di Cristo, è il passo successivo. Sapendo che promozione umana ed evangelizzazione non possono che camminare l’una a fianco dell’altra, come ci insegna la lunga tradizione missionaria delle nostre diocesi. Che oggi siamo chiamati a tradurre in un nuovo appassionato slancio anche qui, proprio sotto casa, e non solo in terre lontane.
Guglielmo Frezza e Lauro Paoletto