Il card. Kasper: «Io voglio una Chiesa che vive dove ci sono opinioni diverse»
«Questo papa è in linea con i suoi predecessori e d’altra parte è confrontato con una enorme problematica: abbiamo una Chiesa, una fede ma nella Chiesa si intrecciano culture diversissime tra loro». Non è dunque «un problema tra progressisti e conservatori ma di culture molto diverse tra loro». Il futuro? «Io voglio una chiesa che vive e in una chiesa che vive ci sono opinioni diverse»
«La cacofonia del passato non può essere trasformata oggi in sinfonia armonica» ma «abbiamo fatto passi importanti per imparare a suonare insieme». Usa metafore musicali il card. Walter Kasper, già presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, per descrivere la stagione ecumenica che la Chiesa cattolica e quelle nate dalla Riforma di Lutero stanno vivendo oggi. Il cardinale ha partecipato a Trento all’incontro promosso dalla Cei con la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia per i 500 anni della Riforma di Lutero. Sono giorni di acceso dibattito e confronto sui grandi temi che uniscono e dividono le Chiese. Ma la sfida dell’unità non riguarda soltanto il dialogo tra le Chiese cristiane. Attraversa ad intra anche la Chiesa cattolica. E la meta della “unità nella diversità” è il futuro non solo del dialogo ecumenico ma anche della Chiesa cattolica e delle sue mille anime che la abitano.
Eminenza, lei parla di una «comunione in divenire», di «un ecumenismo sempre in via». Dopo 50 anni di dialogo, il bilancio dei risultati sembra magro. Si attendono passi in avanti. Lei cosa risponde?
«Sì, si devono fare passi in avanti. Senza dubbio. Ma dobbiamo essere in comunione con la Chiesa antica del passato e con la Chiesa attuale. Questo è un criterio di attenzione. Non possiamo creare una nuova Chiesa. Non è possibile. Perciò la tradizione è un punto molto importante. Ma la tradizione non è qualcosa che frena. Ci dà impulsi per un rinnovamento. Pensiamo al diaconato femminile. Ha ragione il vescovo Bruno Forte quando dice che non si può adattare un ministero maschile direttamente alle donne. Si deve quindi essere innovatori. Credo che questa sia la chiave giusta».
Da parte dei luterani, si chiede addirittura l’ospitalità eucaristica. È impensabile?
«No, non è impensabile. Nel Vaticano II c’è una possibilità per un’apertura. Penso che dobbiamo fare passi soprattutto per i matrimoni misti: vogliamo che vadano in chiesa insieme e non possiamo dividerli davanti all’altare quando vivono insieme, quando pregano insieme, lavorano insieme».
Se da una parte c’è chi spinge in avanti, dall’altra si assiste, anche recentemente, a un movimento che rimane restio ai processi messi in atto da papa Francesco. È una resistenza e una opposizione che partono dall’interno stesso della Chiesa cattolica.
«Questo papa è in consonanza con il sensus fidelium. La stragrande maggioranza dei fedeli è in favore del papa, ma ci sono alcuni vescovi purtroppo che non sono in consonanza con la fede del popolo. E questo è il problema. Dobbiamo appoggiare questo papa e andare avanti con lui. Lui è in consonanza anche con la tradizione».
Questa situazione genera, però, confusione. Una chiesa cattolica divisa non è una testimonianza all’esterno. Lei cosa pensa?
«Ci sono opinioni diverse anche nella nostra Chiesa. Ci sono oggi ma ci sono sempre state. Io voglio una chiesa che vive e in una chiesa che vive ci sono opinioni diverse. Ma alla fine si deve arrivare ad un certo consenso ma un consenso che non può essere una monotonia, questo non è possibile perché la Chiesa è una comunione di differenze riconciliate».
È possibile avere opinioni diverse ma credere nello stesso Vangelo. Alcuni chiedono di non travolgere il Vangelo. Altri ritengono che sono i tempi a richiedere letture diverse, aggiornate. Dove è il giusto equilibrio?
«Il Vangelo non cambia. C’è soltanto un Vangelo. Ma abbiamo nella Bibbia quattro Vangeli e nei quattro Vangeli ci sono anche divergenze tra Giovanni, Matteo, Marco, Luca. Era pertanto già dall’inizio del cristianesimo una unità nella differenza e una differenza nella unità. E questa è una tensione che continua fino ad oggi e continuerà fino al giorno del ritorno del nostro Signore».
Come si sta delineando la Chiesa di papa Francesco? Si conclude il Giubileo della Misericordia, un giubileo importante che rivela molto della Chiesa di questo papa. Lei che bilancio stila di questo anno?
«Penso che il papa abbia messo sul tavolo il centro del Vangelo, cioè il Dio misericordioso. E nella teologia degli ultimi decenni abbiamo un po’ dimenticato questo aspetto della Misericordia. È anche una risposta ai segni dei tempi nostri. Viviamo in un tempo di grande violenza, di grandi ingiustizie. Molte persone sono ferite. Qui, l’annuncio della Misericordia è la risposta cristiana. E papa Francesco guida la Chiesa sulla via giusta. Già Giovanni XXIII ha cominciato con questa predicazione della Misericordia. Anche Paolo VI.
Questo papa è in linea con i suoi predecessori e d’altra parte è confrontato con una enorme problematica: abbiamo una Chiesa, una fede ma nella Chiesa si intrecciano culture diversissime tra loro. Questo problema della diversità delle culture l’ho potuto personalmente osservare al secondo Sinodo sulla famiglia. Non era un problema tra progressisti e conservatori ma di culture sul matrimonio e sulla famiglia molto diverse tra loro con realtà culturali che andavano dall’Africa all’Asia alla nostra cultura occidentale. Per cui noi occidentali non possiamo imporre nulla a loro e loro non possono imporre a noi la loro visione. Per questo parlo di unità nella diversità. Questo è il futuro della Chiesa».
Siamo in un mondo globalizzato e la Chiesa non deve avere paura della diversità. È questa la sfida?
«La Chiesa è la prima realtà che ha vissuto questa globalizzazione fin dall’inizio. Perciò non deve avere paura della globalizzazione ma la globalizzazione non è uniformità. Questo è molto importante. Ci deve essere spazio per le diversità. Proprio per questa ragione il papato è diventato più importante. Perché il papa è il punto di riferimento, simbolo di questa unità trans-culturale».
Lei è un grande studioso di Lutero. Se papa Francesco avesse vissuto a quel tempo, Lutero avrebbe scritto le sue 95 Tesi?
«Lutero era un uomo del basso medioevo e papa Francesco è il papa della post-modernità. È difficile comparare i due ma se un papa simile a papa Francesco fosse vissuto allora, la storia sarebbe stata diversa. Perché la colpa della divisione della chiesa non ricade soltanto su Lutero ma anche su Roma e sui vescovi che non erano aperti per una Riforma che era necessaria in quel tempo».
E oggi siamo pronti a riformare la Chiesa?
«Siamo in una nuova situazione. L’ecumenismo oggi parte da ciò che abbiamo in comune e sfidiamo le differenze nella prospettiva di ciò che abbiamo in comune. È una nuova situazione».