Casa Madre Teresa di Calcutta: il corpo di Cristo incontrato negli “ultimi degli ultimi”
Il 26 settembre casa Madre Teresa compie i dieci anni. Saranno ricordati con tre messe, il sabato alle ore 16, celebrate da tre vescovi (mons. Magarotto il 3 settembre, mons. Mattiazzo il 10, mons. Cipolla il 17), con una semplice mostra e con una giornata di apertura alla città il 4 ottobre. L’esempio della suora che è stata proclamata santa fu scelto dalla diocesi per un’opera che proseguisse il giubileo del Duemila contemplando il corpo di Cristo che si manifesta nei fratelli più poveri. Quelli a cui la malattia ha rubato il pensiero e perfino la capacità di dire grazie.
Non era nemmeno beata quando, nel 1999-2000, la diocesi di Padova decise di ispirarsi al suo nome e alla sua opera per proseguire sulla via tracciata dal grande giubileo del Duemila.
«Anzi – ricorda mons. Mario Morellato che era allora vicario generale e ora è il direttore coordinatore di casa Madre Teresa di Calcutta per malati di Alzheimer – chiedemmo per scrupolo all’allora generale delle Missionarie della carità il permesso di intitolare la nostra opera alla loro fondatrice. Rispose che madre Teresa non aveva mai consentito che fosse usato il suo nome per opere materiali. Ma poi si diffuse la notizia della sua beatificazione e poiché i santi e i beati appartengono a tutta la chiesa e non a una congregazione, siamo andati avanti serenamente».
In che modo l’iniziativa si ispirò a madre Teresa?
«Quando si è pensato al dopo giubileo, mons. Mattiazzo disse che dopo aver guardato e amato il volto di Cristo ora dovevamo guardare e amare il corpo di Cristo che era nei nostri fratelli. Madre Teresa aveva risposto alla richiesta di Gesù, “Ho sete”, mettendo le sue suore al servizio degli “ultimi degli ultimi”».
Perché avete scelto i malati di Alzheimer?
«Come diocesi, nei suoi organismi consiliari, ci si è domandati chi sono gli ultimi degli ultimi in questo momento e in questa nostra società. Ci è parso potessero essere i malati di Alzheimer, quelli che smarrivano anche il bene del pensiero, della gestione di sé, della capacità di rapportarsi con gli altri, di amare. Inoltre, nel panorama della povertà esistente, volevamo scegliere, ancora una volta nello spirito di madre Teresa, una carità che non fosse interessata, ma davvero gratuita. È parso che rivolgersi ai malati di Alzheimer volesse dire occuparsi di persone che, prima di tutto, non sarebbero guarite e poi che non sarebbero state in grado di dare alcuna risposta gratificante».
La scelta si è dimostrata valida?
«Il 26 settembre casa Madre Teresa compie i dieci anni. Lo ricordiamo con tre messe, il sabato alle ore 16, celebrate da tre vescovi (mons. Magarotto il 3 settembre, mons. Mattiazzo il 10, mons. Cipolla il 17), con una semplice mostra e con una giornata di apertura alla città il 4 ottobre.
Questi dieci anni hanno confermato la validità della scelta perché abbiamo visto la malattia, ancora senza cura, crescere nella sua incidenza. Ma soprattutto abbiamo visto crescere il nostro servizio con l’istituzione di corsi per familiari e assistenti, per preparare a comprendere e ad accogliere le persone malate. È stato completato il piano di accompagnamento nella totalità della malattia dal primo delinearsi alle fasi terminali, con il centro diurno, riabilitativo e socio-assistenziale, in cui vengono seguiti gli ospiti ancora in una fase iniziale della malattia, con il centro residenziale e infine il Kolbe dedicato alle persone affette da demenza nelle fasi più avanzate. Resta costante lo stile di madre Teresa: non un ospedale, ma una casa in cui gli ospiti vengono amati».
Nella foto, la benedizione della prima pietra il 5 gennaio 2001. Accanto al vescovo Mattiazzo, il compianto don Lucio Calore.