Le mani sporche di terra sono straniere. Tante eccellenze italiane non esisterebbero senza la manodopera di migranti
L’asparago di Pernumia, il Parmigiano, il crudo di Parma e tante eccellenze italiane non esisterebbero senza la manodopera di migranti. Un approfondito studio chiede a noi società di riconoscerli e garantir loro diritti e più legalità

“T he Sikhs who saved Parmesan”, “I sikh che hanno salvato il Parmigiano”. Titolava così, nel 2015, la Bbc il proprio reportage realizzato addentrandosi nella filiera lattiero-casearia di due dei prodotti d’eccellenza italiana, riconosciuti e apprezzati all’estero, il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano. Un elogio all’abnegazione della comunità indiana proveniente dal Punjab che nel corso dei decenni è stata essenziale per la sopravvivenza di suddetti prodotti. È un’immagine d’impatto, di quelle che servono a sgomberare il campo da ogni dubbio: il famigerato made in Italy è possibile grazie alla presenza di forza lavoro di origine straniera nel settore agroalimentare. Lo stesso potremmo dire del Prosciutto di Parma, o dei rosseggianti pomodori sulle nostre tavole provenienti dal Foggiano, o di un’azienda di pollame di Forlì, del gruppo Amadori, che ha come importante committente McDonalds. In Veneto di esempi ce ne sarebbero tanti, anche di virtuosi, come la coltivazione del vino in Valpolicella e dell’asparago nella Bassa Padovana, tra Pernumia e Monselice. Ecco perché è stato scelto di intitolare Made in Immigritaly. Terre, colture, culture il primo, massiccio, report su lavoratrici e lavoratori immigrati nell’agroalimentare italiano. Il dossier, presentato lo scorso 2 luglio all’interno della biblioteca capitolare di Verona è stato commissionato dalla Fai-Cisl, realizzato dal Centro Studi Confronti ed è curato da Maurizio Ambrosini, Rando Devole, Paolo Naso, Claudio Paravati, oltre a diversi antropologi e ricercatori attivi sul campo. «Quando gustiamo i nostri ottimi prodotti agricoli, lo possiamo fare grazie al lavoro di tanti immigrati senza i quali questi prodotti non esisterebbero – ammonisce Andrea Zanin, segretario generale Fai-Cisl del Veneto – Gli immigrati rappresentano una componente fondamentale della forza lavoro e loro presenza aumenta l’efficienza complessiva in filiere fondamentali per l’agroalimentare, grazie alla loro motivazione e disponibilità a svolgere lavori stagionali e fisicamente impegnativi. Riconoscere e valorizzare il contributo dei lavoratori migranti è fondamentale per costruire un sistema agroalimentare più giusto, sostenibile e inclusivo: questo non solo migliorerà le loro condizioni di vita, ma rafforzerà l’intero settore. Il contrasto allo sfruttamento, alla lotta al caporalato, alle false cooperative, ai ghetti e al lavoro irregolare è una battaglia di civiltà che la Fai-Cisl si è intestata a tutti i livelli perché misura il livello di civiltà di un Paese e misura la capacità di azione delle sue associazioni e della sua classe politica. Anche in Veneto dobbiamo rafforzare il protocollo contro il caporalato e lo sfruttamento in agricoltura che abbiamo sottoscritto con tutte le associazioni in Regione, nel maggio a 2019, soprattutto per la parte che anche la legge 199 indicava come fondamentale della prevenzione oltre a quella della repressione».
Gli esempi del Veneto
Alla sua prima esperienza dietro la macchina da presa, Michele Placido già nel 1990 affrontava il tema dei lavoratori immigrati nelle campagne italiane nel film Pummarò e, se 34 anni fa c’era solo il “sentore” in pochi rami del settore, oggi il loro numero è esponenzialmente cresciuto, al pari della consapevolezza della società civile: alla fine del 2022 erano 362 mila, tutti insieme garantiscono all’agroalimentare italiano un fatturato di 600 miliardi di euro e con una copertura del 31,7 per cento delle giornate di lavoro registrate. Registrate, per l’appunto, perché il sommerso inquina i dati, la penombra si fa largo e caporali approfittano di chi lascia la propria terra d’origine per un lavoro, immaginando condizioni migliori. Anche l’agricoltura veneta ha subito trasformazioni significative, passando da una manodopera prevalentemente familiare a una forza lavoro più diversificata e straniera. In Veneto sono oltre 500 mila gli stranieri residenti, circa il 10,3 per cento della popolazione regionale. Le 82.483 aziende agricole presenti in Regione, dai dati dell’ultimo censimento Istat, impiegano oltre 206 mila lavoratori, dei quali oltre 91 mila sono manodopera non familiare e di questi, il 37 per cento sono lavoratori immigrati. Seppur diffusa la notizia pochi giorni dopo la presentazione del volume, a metà aprile i sindacalisti Flai-Cgil del Veneto scovato una sessantina di braccianti indiani ammassati in due case, la prima a Negrisia di Ponte di Piave e la seconda a Oderzo nel Trevigiano, senza elettricità, gas e acqua calda, senza medicinali per curare la bronchite, imprigionati da inferriate che sbarravano le finestre e con le porte chiuse dall’esterno. Condizioni disumani. A loro, aguzzini connazionali, avevano promesso sei euro l’ora per la raccolta di tabacco e radicchio. Soldi mai visti in sette mesi, nonostante le schiene piegate sui campi dalle 5 alle 22. Ad aggravare la situazione, nulla-osta fasulli emessi in Campania, richiesti da aziende fittizie tramite patronati e associazioni che non potrebbero neppure far richiesta. Se sono lì è perché più di un’azienda trevigiana li ha richiesti, sfruttando le maglie del sistema, ma il report Made in Immigritaly, soprattutto nel capitolo sul Veneto curato da Monica Guidolin, antropologa sociale ed etnologa, si sforza di andare nella direzione di un’esplorazione per cogliere evoluzioni favorevoli di un modello che mette in luce aspetti virtuosi e significativamente positivi nell’assicurare condizioni di lavoro dignitose e tutela per i migranti impiegati. «Con particolare attenzione al livello di regolarità lavorativa e contrattuale, i referenti aziendali intervistati insistono nel promuovere i rispettivi sforzi a tutela dei lavoratori stranieri – si legge nello studio condotto da Guidolin – Una buona conoscenza della contrattazione collettiva e degli strumenti legali può aiutare il processo di presa di consapevolezza e favore la qualità del rapporto lavorativo con ricadute positive anche nell’organizzazione. Ne è un esempio il caso esaminato nella Valpolicella: l’85-90 per cento è manodopera migrante, con presenza pluriennale di lavoratrici rumene che negli anni si sono stabilizzate da un punto di vista contrattuale». Un altro aspetto importante, evidenziato nel volume, e che apre a nuove prospettive edificanti e che negli ultimi anni la tenuta presa in esame è entrata in contatto con un centro di accoglienza che gestisce rifugiati, ragazzi nigeriani, pakistani e afghani che la stessa azienda assume soprattutto per il periodo culmine della vendemmia. Scendendo di qualche chilometro, anche nel caso dell’asparago, la presenza di migranti direttamente collegata alla raccolta e al processo di produzione copre il 100 per cento della manodopera; qui l’attenzione di valore dell’azienda sta nella premura e nel prenderci carico della gestione abitativa. Parte dei lavoratori sono rumeni con residenza in Romania che vengono in Veneto per i due-tre mesi di raccolti, ma la maggior parte sono di origine africana, sono uomini impiegati nella raccolta, ma anche donne impiegate nella fase di pulizia e di confezionamento, che vivono a Pernumia o in Comuni limitrofi. L’azienda, per consentire ai lavoratori di soggiornare per il periodo necessario, noleggia unità abitative, container certificati Ce, dotati di tutti i servizi necessari, che alla lunga porta a fidelizzare gli stessi operai. «Queste realtà produttive hanno la consapevolezza che non ci si può permettere nessun tipo di ombra perché tutto verrebbe messo in discussione – sottolinea Monica Guidolin – Il mercato, alla lunga, non perdona nulla e quindi loro dicono “finché riusciamo, noi andiamo avanti così”. Sanno però di essere delle rarità».
Normative da aggiornare
Rarità, che però esistono e sono portavoce di un’eccellenza locale che diventa interculturale fatta da tante mani, da tanti saperi, anche generazionali. La riflessione che l’intero settore dovrebbe cogliere, da produttore a consumatore, è il senso di responsabilità di un lavoro fatto di etica, standard qualitativi alti e di dignità umana. Stesse qualità che una società immaginerebbe per il proprio futuro. Eppure. «L’immigrazione è cambiata negli anni, è cambiata nei numeri, è cambiata nelle rotte, è cambiata nelle modalità e nella gestione – avverte Massaer Diane, presidente di Anolf Veneto, Associazione nazionale oltre le frontiere – Ma la normativa che regola il fenomeno, la legge Bossi-Fini, è rimasta la stessa. È datata, bisogna intervenire perché l’Italia è un Paese che ha bisogno di lavoratori stranieri, di famiglie straniere, e che siano integrati. Ma questo dev’essere accompagnato da forti scelte politiche: nel Decreto Cutro, per esempio, sono stati eliminati i servizi di assistenza psicologica, insegnamento della lingua italiana e di orientamento legale nei centri di prima accoglienza e nei Cas. Come ci si può integrare se non partiamo nemmeno dalla lingua? Come può un lavoratore straniero farsi forza dei suoi diritti se non sa comprendere l’italiano? è così che diventa soggetto di ricatti e sfruttamenti. E poi va snellita la burocrazia: capita che per ottenere un nulla-osta al lavoro ci possono volere mesi e quando lo straniero arriva in Italia si può ritrovare con posto di lavoro assegnato a qualcun altro. Favorire il lavoro regolare non è un guadagno per il solo immigrato o per l’azienda, ma è per tutta l’Italia perché se io riesco a lavorare qui, a creare delle solide basi, riesco a portare qui la mia famiglia, riesco a comprare una casa, pago i servizi messi a disposizione dello Stato». Insomma è investire nel futuro.
Un’app per imparare termini agricoli e sulla sicurezza
La lingua italiana è fondamentale per comprendere non solo direttive e regole, ma anche i comportamenti sicuri, dato che per un lavoratore straniero il rischio di incorrere in un infortunio è quattro volte maggiore rispetto a un bracciante italiano. E nel 2023 gli infortuni in agricoltura in Veneto sono stati circa duemila. Numeri alti, che hanno portato Agribi, ente veronese nel settore dell’agricoltura, a lanciare a inizio gennaio un progetto all’avanguardia in Italia: si tratta della prima app pensata specificatamente per l’agricoltura e mirata a insegnare a chi parla inglese, spagnolo, arabo, portoghese, francese, russo e polacco, non solo una base di lingua italiana, ma anche la terminologia relativa al contratto di lavoro, ai diritti e doveri, alle regole sul lavoro e alla sicurezza. Uno strumento che può contribuire anche a contrastare il caporalato.
Politica migratoria. Serve un’accoglienza mirata e lungimirante
Lo scorso 28 giugno, Cisl Veneto ha organizzato l’appuntamento “Popoli in movimento. Un Veneto aperto al futuro”, all’interno del quale si è parlato della necessità di adottare una politica dell’accoglienza intelligente e lungimirante, di gestire e non subire il fenomeno migratorio trasformandolo in opportunità, promuovendo l’inclusione lavorativa e sociale delle persone e il loro inserimento abitativo. Tutti obiettivi importanti non solo per l’Italia, ma anche per il territorio veneto, che possono essere raggiunti solo se affrontati in maniera sistemica, ben oltre il perdurante approccio emergenziale, e con il coinvolgimento delle forze sociali ed economiche. «È urgente passare da una logica ideologica a una pragmatica riguardo la gestione del fenomeno migratorio – ha affermato Gianfranco Refosco, segretario generale di Cisl Veneto – Tra strumentalizzazioni partitiche, ricerca di consensi di breve respiro e negazione cieca della realtà dei fatti, la sterile discussione degli ultimi decenni ha impedito di mettere in campo, e ancor prima solo di immaginare, una politica migratoria degna di un Paese che ambisce a essere tra i leader in Europa e nel mondo. Ora però una gestione intelligente e programmata dei movimenti migratori in ingresso in Italia è con ogni evidenza uno strumento imprescindibile anche per affrontare e risolvere la crisi demografica. Una crisi che mette già sotto stress il funzionamento stesso del mercato del lavoro e la produzione di beni e di servizi». Un passaggio, poi, ulteriore sullo scarso rispetto delle norme in ambito lavorativo: «Ci vorrebbe una precisa volontà politica per combattere l’illegalità, ma la realtà dice che oggi gli ispettori in Veneto sono un decimo di quelli che erano 15 anni fa».
Imprenditori non italiani, un numero sempre in crescita
Uno dei cliché che occorre superare quando si parla di stranieri e agricoltura, è l’immagine del lavoratore bracciante stagionale. Eppure in Italia è forte e consolidata anche la figura dell’imprenditore di nazionalità non italiana. Secondo Unioncamere, a fine 2022 risultavano attive 650 mila imprese con prevalenza di soci o amministratori stranieri, circa il 10 per cento del tessuto totale nazionale. Inoltre negli ultimi cinque anni si è osservato un aumento del 7,6 per cento dell’imprenditoria straniera al netto di un calo del 2,3 per cento di quella italiana. In Veneto ci sono 53.413 imprese straniere, l’11,3 per cento del totale, mentre se ci focalizziamo solo sul settore agricolo, notiamo la presenza di 2.062 imprese straniere, delle quali 386 amministrate da personale all’interno dell’Unione europea, e 1.669 extra-Ue.
S.o.s caporalato e politiche abitative per i braccianti
Onofrio Rota, segretario generale Fai-Cisl nazionale, è intervenuto in chiusura dell’appuntamento del 2 luglio a Verona, ricordando come la drammatica vicenda di Satnam Singh, lavoratore indiano morto dopo aver perso il braccio in un macchinario nella zona di Latina, debba rendere ancora più forte l’impegno di tutti per contrastare i fenomeni di sfruttamento, di illegalità e i soprusi che ancora caratterizzano il lavoro agroalimentare: «Il datore di lavoro di Satnam, arrestato per omicidio doloso, aveva ricevuto oltre 840 mila euro dal Programma di sviluppo rurale, pur essendo indagato per caporalato da oltre cinque anni. Inoltre, i Comuni non spendono i soldi del Pnrr destinati alle politiche abitative per i braccianti agricoli: in Veneto, per esempio, i Comuni di Rovigo e Castelguglielmo hanno a disposizione quasi 2 milioni e 800 mila euro, che bisogna capire se e come sono stati utilizzati. È urgente quindi un’assunzione di responsabilità collettiva». La Cisl, da alcuni anni, ha introdotto un numero verde a cui, in totale anonimato, si possono denunciare casi di abusi: “Sos caporalato” risponde al numero 800.199.100.