Buona agricoltura, buona logistica. La produzione alimentare rappresenta un nodo di interconnessioni importante. Il caso dei carburanti
I costi della logistica arrivano ad incidere fino dal 30 al 35% sul totale dei costi per frutta e verdura secondo una analisi della Coldiretti su dati Ismea.
Buona agricoltura, certamente, ma anche ottima logistica. E strade efficienti, trasporti veloci, carburanti a prezzi equi. L’agroalimentare non è fatto solo di buona terra e bravi agricoltori, ma anche di strumenti di produzione e di mezzi di trasporto. Senza dire della necessità di un “sistema Paese” in grado di accompagnare la crescita del settore e non di ostacolarla.
Il tema è complesso e non facilmente circoscrivibile a pochi fattori. Per comprenderlo meglio, basta però ragionare su uno degli ultimi esempi che la cronaca ha posto in evidenza. I coltivatori diretti lo hanno posto bene in evidenza: “In un Paese come l’Italia dove l’85% dei trasporti commerciali avviene per strada il nuovo record dei prezzi dei carburanti ha un effetto valanga sulla spesa con un aumento dei costi di trasporto oltre che di quelli energetici”. Detto in modo ancora più preciso, i costi della logistica arrivano ad incidere fino dal 30 al 35% sul totale dei costi per frutta e verdura secondo una analisi della Coldiretti su dati Ismea. Un’enormità, che pesa moltissimo sui bilanci delle imprese e su quelli delle famiglie. Il meccanismo è piuttosto semplice. Se salgono i prezzi del carburante si riduce il potere di acquisto degli italiani che hanno meno risorse da destinare ai consumi, mentre aumentano i costi per le imprese.
Costi che, a ben vedere, si traducono in due oneri: da un lato il costo vivo dei carburanti oppure delle materie prime, dall’altro il costo, che alla fine si traduce anche in termini economici, delle difficoltà e dei ritardi di trasporto che a loro volta significano una forte perdita di competitività.
Ma che fare? Le soluzioni non sono univoche e sicure. Migliorare la rete viaria e quella ferroviaria sono imprese di non poco conto e lente da farsi. Grandi aspettative, sotto questo profilo, si attendono dal Pnrr. Serve – è stato più volte dichiarato -, agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma pure con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo. C’è poi il lavoro sul fronte dei carburanti. Al di là del peso forte delle accise, è necessario accelerare sull’uso di carburanti alternativi a quelli tradizionali. Per i coltivatori, occorre investire per realizzare nuove produzioni come il biometano agricolo italiano, il carburante cosiddetto “dalla stalla alla strada”. C’è anche un traguardo già fissato: immettere nella rete 6,5 miliardi di metri cubi di gas “verde” da qui al 2030. Operazione fattibile partendo dall’uso degli scarti delle coltivazioni e degli allevamenti (che, tra l’altro, potrebbero così contribuire anche al contrasto del cambiamento climatico che a sua volta ha effetti deleteri anche sulla produzione alimentare). Operazione che, tuttavia, i tecnici valutano con molta cautela: non sempre i costi per produrre biometano arrivano ad essere coperti dai vantaggi.
Intanto rimane il dato di fatto che a molti sfugge. L’agricoltura di oggi (a ben vedere quella di sempre), non è un’entità avulsa dal resto del sistema economico di un territorio, ma, anzi, è una componente essenziale di questo, qualcosa che riceve mezzi di produzione li trasforma e li ripropone sotto forma di prodotti che a loro volta devono trovare vie efficaci di trasporto al consumo finale. L’agroalimentare, in altre parole, è qualcosa di estremamente delicato, la cui esistenza tocca molteplici aspetti del convivere sociale.