Suor Francesca Fiorese: Il lavoro alla prova del virus. Dall'incertezza si esce con l'etica e la condivisione
La festa di san Giuseppe lavoratore è sospesa nel cuore della pandemia. Ci sono importanti interrogatici a cui ancora non è possibile sospendere sulle conseguenze occupazionali, ma il lavoro non è solo questione di guadagno, è in gioco la vocazione di ciascuno. Quel «nessuno si salva da solo» pronunciato da papa Francesco nel deserto di piazza San Pietro il 27 marzo, vale anche per il mondo produttivo, i decisori politici e i corpi intermedi.
Mai come in questo 2020 ci è capitato di vivere un Primo maggio così sospeso nell’incertezza. Le domande che questa emergenza Covid-19 sono moltissime anche sul fronte del lavoro, nonostante l’emergenza sanitaria sia tuttora in corso. È vero, come ha dichiarato al recente Consiglio europeo il presidente Conte, che senza interventi esemplari da parte dei Governi e dell’Unione, rischiamo di dover affrontare una delle più pesanti crisi sociali dei tempi moderni. Ancora non sappiamo in che condizioni sarà il settore del turismo, della ristorazione, il mondo della cooperazione e il Terzo settore, la filiera dell’agricoltura e del settore zootecnico, le ditte che organizzano eventi, il settore della cultura, gli esercizi commerciali e gli ambulanti, le piccole e medie imprese…? Quanti non riusciranno a ripartire e quanti rischieranno di rimanere senza lavoro?
La festa dei lavoratori quest’anno arriva in un momento un cui siamo chiamati ad abitare questi interrogativi, a guardarli a viso aperto, con un atteggiamento propositivo. Stiamo entrando in un fase creativa: il mondo – anche quello del lavoro – non tornerà spontaneamente come prima, occorre che i decisori politici, i corpi intermedi e la popolazione decidano quale direzione prendere. Abbiamo bisogno di definire nuove priorità e di farlo insieme: ecco, se c’è una cosa che questa emergenza ci ha insegnato – e che papa Francesco ha tradotto in parole nella preghiera speciale del 27 marzo nella piazza San Pietro vuota – è che «nessuno si salva da solo».
Nel nostro vissuto recente abbiamo scorto alcune luci che ci aiutano a orientarci in questo tempo di incertezza che non sarà solamente una breve parentesi. Abbiamo avuto la possibilità di riscoprire l’unità della famiglia umana, di vedere come necessariamente servono risposte coordinate, perché tutto è connesso. La stessa Unione europea, dopo settimane sospese per i diversi approcci scelti dei 27 Paesi membri, è arrivata alla decisione comune di costituire un Recovery fund, si tratta ora di decidere le modalità operative del fondo che vedrà la luce a giugno.
Abbiamo anche sperimentato la fragilità dei nostri sistemi politici e sanitari, smascherando l’illusione di poter trovare una soluzione tecnica a tutto, senza scomodarci più di tanto e in tempi brevi; abbiamo constatato l’importanza della qualità del legame che ci unisce e come la vita di ciascuno sia affidata alla responsabilità degli altri. Abbiamo visto come l’etica nel lavoro fa la differenza. In tutti coloro che hanno continuato a svolgere il proprio lavoro con grande professionalità e dedizione, in tutti coloro che hanno cercato in ogni modo di evitare che qualcuno rimanesse indietro, in ogni uomo e donna che con responsabilità e creatività hanno cercato di mettersi in gioco superando la mera logica del guadagno e del benessere personale abbiamo riscoperto una risorsa fondamentale: la fiducia, la fondamentale fiducia nella vita che consente alle persone di impegnarsi.
Ci siamo concretamente accorti che il lavoro non è solo un modo per guadagnare. Ci sono domande di senso che vanno al di là del reddito; Il lavoro ha un significato antropologico e sociale, è ambito di espressione di senso e di valori, di umanità. C’è di mezzo la vocazione di ciascuno!
Ecco perché la festa di san Giuseppe lavoratore ci ricorda che la ricostruzione che attende il pianeta, dopo che la fase acuta della pandemia, non ha bisogno semplicemente di interventi di politica economica. È in gioco la percezione di senso nell’esistenza di miliardi di persone nel mondo.
In quella originaria vocazione al lavoro trova ragione il nostro voler accogliere questo tempo di crisi come tempo «che ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità», scriveva papa Benedetto XVI nella Charitas in veritate (21). E papa Francesco al numero 111 dell’enciclica Laudato Si’:«Abbiamo bisogno di uno sguardo nuovo, che ci consenta di trovare la forza di allontanarci da modelli di sviluppo e concezioni dell’economia che alimentano disuguaglianze, esclusioni e degrado ambientale. Abbiamo bisogno di una spiritualità che dia forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico».
Per questo, i cristiani in questa festa sono chiamati a pregare. Preghiamo non per fuggire la realtà, per eliminare l’incertezza, ma per guardare a Cristo come modello per abitare questa condizione inedita, per accogliere la nostra fragilità, facendoci prossimi agli altri e trasformarla in strumento di trasmissione dell’amore incondizionato per ogni essere umano e per ogni creatura.
suor Francesca Fiorese