Se l'Europa si divide, sarà sempre più debole

Gabriella Battaini-Dragoni, vice segretario generale del Consiglio d'Europa, guarda al futuro del continente. Tra nazionalismi, populismi, tutela dei diritti umani, dialogo tra fedi e culture, corruzione e disaffezione dei cittadini dalla politica

Se l'Europa si divide, sarà sempre più debole

«I nazionalismi stanno tornando, con forza». I populismi, nelle loro diverse accezioni, «si affermano alle elezioni in parecchi Paesi europei. Sono fenomeni che ci inquietano molto». Gabriella Battaini-Dragoni si ferma un attimo prima di riprendere a parlare. Quasi a sottolineare quella preoccupazione che si avverte in questa fase della storia continentale anche al Consiglio d’Europa, di cui Battaini-Dragoni è vice segretario generale.
L’alto funzionario dell’organizzazione, fondata nel 1949 e che oggi conta 47 Paesi membri, accetta un confronto a tutto campo «perché – afferma – il momento è davvero delicato». Italiana originaria di Brescia, sposata, tre figli, formazione universitaria a Venezia e a Nizza, comincia a lavorare con il CdE nel 1976, giungendo a dirigerne i settori della coesione sociale e poi dell’educazione e cultura. Nel 2012 è eletta vice segretario generale.

Dicevamo dei nazionalismi che tornano ad attraversare il continente. Come accadeva nel secondo dopoguerra quando fu istituito il Consiglio d’Europa. Cosa la preoccupa in particolare oggi?
«Il nazionalismo minaccia la cooperazione internazionale e il dialogo tra le nazioni, che sono al fondamento della pace. Mira alla prevalenza degli interessi nazionali anche a discapito di quelli della più vasta comunità europea e internazionale, passando sopra al fatto che l’Europa è una “comunità di valori” che ci avvicinano, accomunano i nostri popoli e Stati. I nazionalismi inoltre chiudono le porte, elevano barriere. È l’esatto contrario di quello di cui hanno bisogno i nostri Paesi, che da soli non possono affrontare le sfide globali. Basti pensare alla demografia: tutto sommato siamo un continente piccolo con meno di un dodicesimo della popolazione mondiale. Credo che questo rischi, a medio termine, di indebolirci anche sul piano economico. Il progetto europeo offre invece un percorso di apertura e di solidarietà: stare insieme per non diventare insignificanti, per rafforzare le nostre democrazie e le nostre economie, per tutelare meglio i diritti dei cittadini».

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E i populismi?
«Nel rapporto annuale del Segretario generale, si spiega come sia importante essere precisi nella definizione di populismo che danneggia la democrazia, limitando il dibattito, delegittimando il dissenso e riducendo il pluralismo. La governance democratica è di fondamentale rilevanza. Per questo come Consiglio d’Europa insistiamo su programmi rivolti all'educazione alla cittadinanza, perché al fondo c’è un problema culturale, di coscienza civica, di assunzione personale di responsabilità verso la propria comunità locale e verso il proprio Paese».

Del resto è vero che i cittadini possono avere buone ragioni per essere delusi dalla politica. Il malgoverno, ad esempio, l’autoreferenzialità della politica e dei partiti…
«Pensiamo anche alla corruzione, che è un male endemico alle nostre società. Aggiungo che la stessa crisi economica, scoppiata dieci anni fa e che in vari Paesi perdura con pesanti ricadute sull'occupazione, ha creato molte sofferenze suscitando una rabbia diffusa. E poi non possiamo trascurare l’ondata di migranti riversatasi sull'Europa, in particolare sui Paesi mediterranei, che è stata gestita malamente a livello europeo. Il Consiglio d'Europa, a questo proposito, ha un progetto “modello” da condividere».

Quale progetto?
«È quello delle “Città interculturali” (126 in 5 continenti quelle aderenti al progetto), che mostrano come si possano trarre immensi benefici dalla diversità culturale sfruttando il potenziale offerto dalla grande varietà di competenze e creatività, tramite l'adozione di politiche e pratiche che facilitano l'interazione interculturale e l'inclusione dei migranti».

Lei è un convinto promotore del dialogo interculturale, favorito dal CdE con un’attenzione specifica per le fedi religiose.
«Si è coscienti del valore in sé del dialogo tra le culture e del ruolo rilevante delle religioni in seno alle nostre società. Avendo peraltro come bussola due principi: il diritto ad avere, non avere o a cambiare fede religiosa; una collaborazione tra istituzioni e comunità religiose nel rispetto dei rispettivi ruoli e senza indebite interferenze».

Diritti umani, uno dei principali ambiti di azione del CdE. A che punto siamo in Europa con Paesi come Russia, Turchia, Azerbaijan?
«Registriamo seri problemi in alcuni Paesi, come quelli da lei indicati, ma non dobbiamo focalizzarci solo su questi casi, perché in realtà in numerosi Stati aderenti al Consiglio d’Europa sono a rischio i diritti di diverse persone: potremmo citare le carceri sovraffollate, gli ostacoli che incontrano soggetti con talune forme di disabilità e malattie mentali, l’emarginazione verso i rom, la mancanza di sicurezza per i giornalisti, una omofobia di ritorno. E poi la violenza domestica che sempre più spesso colpisce pesantemente le donne e i minori. Sono problemi di una gravità assoluta sui quali tutti dobbiamo vigilare».

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