Quel che si può insegnare. Le tante suggestioni che possono intrecciarsi in questi giorni nei pensieri di chi si occupa di scuola e di educazione
Ragionare di guerra e di pace, aiutare a cercare la verità, promuovere la fratellanza: i compiti ineludibili della scuola.
Ci sono tante suggestioni che possono intrecciarsi nei pensieri di chi si occupa di scuola e di educazione in questi giorni nei quali si consuma la tragedia di una guerra nel cuore dell’Europa.
La prima è che dovremmo essere più consapevoli della “tragedia” della guerra e delle guerre, indipendentemente dal fatto che avvenga/avvengano in Europa. E anche questo è un compito educativo. Come dimenticare che di guerre ce ne sono quotidianamente appena più in là del nostro orizzonte prossimo? E come non notare che spesso restiamo indifferenti? Ragionare sulla guerra – e sulla pace, come in generale sulla convivenza civile tra persone e popoli – non è compito cui la scuola possa sottrarsi. Anche in questa direzione va l’insistenza sull’educazione civica.
Una seconda suggestione, importantissima, riguarda il tema della verità. Di nuovo la scuola e il mondo dell’educazione sono chiamati in causa pesantemente dalla questione: qual è la verità? Dove informarsi? Come informarsi? Quali strumenti critici dobbiamo possedere in un mondo globalizzato e intasato da mezzi di comunicazione – anche i più diversi – onnipresenti e onnivori, che presentano tutto e il contrario di tutto come “verità”. Anche in questo caso non sfugge il compito educativo, la possibilità/capacità di formare competenze e senso critico, attitudine alla comprensione delle diversità e alla contestualizzazione delle informazioni, alla verifica delle fonti. Può farlo la scuola? Sì.
Una terza suggestione è forse la più importante e rimanda propriamente all’attività scolastica. Un bel corsivo apparso qualche giorno fa sul “Corriere della sera” ha sottolineato come il mondo della scuola sia un fronte di “fratellanza”. “La fratellanza in queste settimane è nelle scuole del nostro Paese dove ragazze e ragazzi di ogni età accolgono nelle loro classi bambini ucraini scampati dall’orrore della guerra”: così scriveva tra l’altro Cristina Dell’Acqua, cominciando la propria riflessione con l’immagine indimenticabile dell’Antigone di Sofocle. “La fratellanza è una legge inalienabile e non scritta”, così attacca il corsivo, ricordando appunto la famosa tragedia greca (442 a.C). Una legge “al di sopra di ogni bruttura umana”, che reclama “l’uguaglianza di tutti gli uomini davanti agli dei e davanti al Dio in cui si crede” e in nome della quale “Antigone sceglie di morire, pur non ledere la dignità di un suo fratello nemmeno dopo la sua morte”.
La fratellanza è poi riletta alla luce dell’esperienza che si fa ogni giorno nelle aule scolastiche dove appunto si mescolano e si “affratellano” bambini e ragazzi di provenienze e lingue diverse. Russi e ucraini sono richiamati in modo speciale, visto il contesto internazionale. Ma naturalmente, se pensiamo alla realtà delle scuole, sappiamo bene che l’orizzonte è molto più vasto. “La scuola mostra di avere le sue regole – di nuovo la riflessione dell’autrice – di essere una zona franca dove siedono insieme perseguitati e persecutori, secondo le leggi della guerra, ragazze e ragazzi che studiano secondo il linguaggio universale che ci accomuna”. La fratellanza accomuna allievi tra loro e insieme gli insegnanti, i tanti che danno testimonianza ovunque di attaccamento e passione per i loro ragazzi. “Dalle scuole – conclude Dell’Acqua, e ci sentiamo di sottoscrivere – il messaggio che arriva è che nemmeno i nostri ragazzi, come Antigone, sono fatti per le leggi dell’odio, quanto piuttosto per quelle dell’amore”.