La via stretta della diplomazia. Marco Mascia, cattedra Unesco in diritti umani, democrazia e pace, osserva lo sviluppo delle ostilità
Il conflitto in Ucraina Marco Mascia, cattedra Unesco in diritti umani, democrazia e pace, osserva lo sviluppo delle ostilità. Serve una strategia comune per un negoziato condotto dall’Onu
In attesa di un cessate il fuoco che non arriva mai. Superati i venti giorni di conflitto, dall’Ucraina continuano ad arrivare immagini strazianti, oramai tutti gli attori in campo sembrano aver accettato l’idea (insopportabile) di una
guerra lunga, tutt’altro che lampo. La diplomazia continua il suo lavoro sotterraneo che al momento non dà frutto. E mentre tutta Europa si prepara agli scenari più complessi, in Italia infuria il dibattito sulla liceità o meno di fornire armi a soldati e cittadini Ucraini. Di tutto questo, parliamo con il prof. Marco Mascia, docente di relazioni internazionali all’Università di Padova, cattedra Unesco in Diritti umani, democrazia e pace.
Prof. Mascia, quali norme dei diritto internazionale viola l’intervento russo in Ucraina?
«La Russia non sta rispettano la Carta delle Nazioni Unite e insieme il diritto internazionale e i diritti umani: viola il principio di sovranità di un Paese indipendente dal 1991, sovrasta il diritto di autodeterminazione dei popoli, l’obbligo di risolvere pacificamente le controversie e il divieto all’uso della forza. Come ha sintetizzato il prof. Cassese, oggi la Russia è un Paese fuori legge. E le condanne non sono mancate, il 28 marzo da parte del Parlamento Europeo, il 2 marzo con la risoluzione dell’Assemblea delle Nazioni Unite votata da 141 su 193 Paesi membri (5 contrari e 35 astenuti) in cui si deplora con forza l’aggressione russa, si chiede l’attivazione di corridoi umanitari, proprio come la risoluzione che il giorno precedente era stata presentata nel Consiglio di sicurezza dell’Onu che tuttavia è bloccato dal veto della stessa Russia».
Quali sono le origini di questa situazione?
«Questo conflitto, come altri in passato, nasce dal fatto che dopo il crollo del muro di Berlino non si è riusciti a creare in Europa e nel mondo una nuova organizzazione per la sicurezza e la cooperazione. Una volta sciolto il Patto di Varsavia, gli Stati occidentali avrebbero potuto sciogliere la Nato e dare vita a un organismo che superi l’attuale Osce. L’ingresso nella Nato di dodici Paesi dell’Europa orientale dal 1999 al 2009 non ha facilitato il dialogo Usa-Russia. L’attuale crisi nasce almeno otto anni fa, è la continuazione di quella del 2014 con l’esercito russo a occupare Crimea e territorio del Donbas, con 14 mila vittime e almeno 1,5 milioni di sfollati interni. A tutto questo si aggiunge un altro elemento che irrigidisce le relazioni: è la stipula dell’accordo di partenariato con i Paesi dell’Est, creando le premesse per un’eventuale ingresso nell’Unione di Georgia, Moldova e Ucraina. Poco dopo la firma di questo accordo, nel 2014, scoppia la guerra del Donbas da cui ha origine quella in corso, preceduta dalla cosiddetta Rivoluzione arancione del 2004, dalla richiesta di ingresso nella Nato dell’Ucraina del 2008 e dai fatti di piazza Maidan, sempre nel 2014, con la caduta del presidente Yanukovich. Abbiamo visto anni di sostegno internazionale di tipo più militare che politico e diplomatico. Dal 1989 a oggi, molte scelte sbagliate hanno preparato il terreno per questo conflitto, anche se tutto ciò non toglie nulla alla condanna per l’aggressione russa e per il fatto che il presidente Putin oggi sia di fatto un criminale internazionale».
Vediamo quindi alla spinosa questione dell’invio delle armi in Ucraina: è legittimo?
«L’articolo 51 della carta delle Nazioni Unite riconosce il diritto narutale all’autotutela in caso di attacco armato di un Paese membro dell’Onu. Il blocco del Consiglio di sicurezza rende la difesa Ucraina del tutto legale. La legge italiana del 1990 sull’esportazione delle armi limita la vendita a Paesi in conflitto, a meno che non si realizzi quanto previsto dall’articolo 51. Dal punto di vista del diritto l’operazione è legittima. Occorre però fare un passo oltre, riflettere sugli effetti di tutto questo, in termini di perdita di vite umane, anche alla luce della scelta di europei e americani di non intervenire in prima persona. Di fatto oggi, la fornitura di armi non sta cambiando gli equilibri delle forze sul terreno, si rischia di allungare l’agonia delle città ucraine e di alimentare de facto il conflitto. Il vero punto rimane il negoziato, esattamente lo stesso auspicio avanzato il 26 febbraio da papa Francesco, la guerra è follia, serve il dialogo».
Per quale ragione non abbiamo ancora assistito a un intervento diplomatico dell’Onu?
«Perché un negoziato sia reale occorre che le parti in campo portino valori flessibili, siano disponibili a fare un passo indietro in nome della pace. Di fatto gli stessi trattati di Minsk sono rimasti lettera morta, le parti non hanno mai mostrato volontà negoziale. Stati Uniti, Europa e Nato sembrano muoversi singolarmente, senza una strategia comune, come si vede dai continui viaggi e contatti tra capi di Stato (la shuttle diplomacy). Il vero negoziatore è l’Onu con il suo segretario generale Guterres, il quale dovrebbe trasferirsi tra Kiev e Mosca finché le parti non trovano un accordo, ma di fatto l’Onu oggi non ha il sostegno nemmeno dell’Occidente. La dichiarazione del Consiglio europeo riunito l’11 marzo a Versailles condanna l’aggressione ed elogia l’Ucraina, ma non richiede l’immediato cessate il fuoco, non cita mai la parola negoziato, mentre parla in maniera esplicita di aumentare le spese per la difesa da parte degli Stati membri dell’Ue. Verso quale direzione ci stanno portando queste scelte?».
L’Onu dunque dipende totalmente dalle scelte dei suoi membri.
«La stessa dichiarazione del Consiglio europeo ne parla solo per dire che la Russia ha violato la sua Carta e che l’Ue ha intenzione di salvaguardare l’ordine mondiale imperniato sull’Organizzazione delle nazioni unite, le quali tuttavia
sono rimaste bloccate anche durante i vent’anni di guerra in Afghanistan. La guerra era evitabile, ricorrendo prima al negoziato e al dialogo, la violenza non è mai la soluzione, non esiste una guerra giusta: a differenza che durante la seconda guerra mondiale, oggi le nazioni hanno a disposizione gli strumenti per agire pacificamente, come elencati nell’articolo 33 della Carta dell’Onu».
Qual è dunque la sfida di questo momento?
«Non certo quella di immaginare un nuovo ordine mondiale, semmai quella di trasformare in realtà i principi della Carta dell’Onu, oggi violati dalla Russia, in Afghanistan anche dall’Occidente. Non è possibile pensare di allargare i confini dell’Unione europea nel mezzo di un conflitto. Come scrive il papa nella sua enciclica Fratelli tutti bisogna assicurare il dominio assoluto del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato».
È possibile l’intervento della Corte penale internazionale dell’Aia?
«Il procuratore ha già avviato un’indagine su eventuali crimini di guerra e contro l’umanità. Tuttavia né la Russia né gli Stati Uniti hanno ratificato lo statuto della Corte sottoscritto a Roma nel 1998 e questo priverebbe qualsiasi sentenza di una reale efficacia».
La missione di Caritas italiana in Est Europa
Si è conclusa il 15 marzo in Polonia la missione che ha portato in Romania, Moldavia e Polonia una delegazione di Caritas italiana, per verificare la situazione dei profughi ucraini e dare supporto e sostegno alle Caritas locali. C’è l’intenzione di effettuare alcuni voli umanitari e sono stati destinati 100 mila euro a Caritas Moldavia. Le diocesi italiane hanno accolto finora 1.500 persone.
Il papa consacra Russia e Ucraina al cuore di Maria
Venerdì 25 marzo, durante la celebrazione della Penitenza nella basilica di San Pietro, papa Francesco consacrerà all’Immacolato Cuore di Maria Russia e l’Ucraina. «Lo stesso atto, nello stesso giorno – ha reso noto il portavoce vaticano Bruni – sarà compiuto a Fatima da sua eminenza il cardinale Krajewski, elemosinare di Sua Santità, come inviato del Santo Padre».