Costruttori di pace. L’unione che i coniugi vanno formando è, di fatto, naturalmente, una palestra di pace
L’amore ha il volto della pace, vuole il bene dell’altro e affronta con coraggio la sfida della realtà quotidiana in cui ciò non necessariamente risulta facile e scontato.
La famiglia è fondamento della società anche per questo: perché permette di fare determinanti esperienze di pace. Ne consegue che la comunità umana non può fare a meno del servizio che la famiglia svolge. Dove mai l’essere umano in formazione potrebbe imparare a gustare il “sapore” genuino della pace meglio che nel “nido” originario che la natura gli prepara? Il lessico familiare è un lessico di pace; lì è necessario attingere sempre per non perdere l’uso del vocabolario della pace. Nell’inflazione dei linguaggi, la società non può perdere il riferimento a quella “grammatica” che ogni bimbo apprende dai gesti e dagli sguardi della mamma e del papà, prima ancora che dalle loro parole.
Benedetto XVI, Messaggio per la XLI giornata mondiale della Pace – “Famiglia umana, comunità di pace”, 1 gennaio 2008
Smentendo la percezione diffusa del linguaggio e dello stile austero di papa Ratzinger, il testo citato ci descrive plasticamente una famiglia nel suo sbocciare attraverso un’emblematica immagine di tenerezza, come può essere quella di un nido. Il Papa, nel suo messaggio vuole evidenziare con forza come la famiglia sia “l’agenzia” di pace per eccellenza e che è necessario che i Paesi tutelino l’istituto famigliare se vogliono costruire un solido terreno su cui la pace possa innestarsi in modo equo e duraturo. Per giungere a questa importante conclusione, il pontefice parte dal patto di pace che uno sposo e una sposa si scambiano al momento del consenso matrimoniale. L’unione che i coniugi vanno formando è, di fatto, naturalmente, una palestra di pace. Un luogo in cui, non solo, come a scuola, le parole e i gesti della pace si imparano, ma uno spazio vitale in cui si apprende quasi per osmosi, tramite prima di tutto l’esempio e la testimonianza di vita. Nella relazione matrimoniale tutto parla di pace: l’amore ha il volto della pace, vuole il bene dell’altro e affronta con coraggio la sfida della realtà quotidiana in cui ciò non necessariamente risulta facile e scontato.
Spesso si tratta di lottare col male prima di tutto presente in se stessi, annullare la violenza, frenare la collera, controllare l’istintività. Accettare che il peccato sia accovacciato alla nostra porta ma noi possiamo digli di no. In sostanza la famiglia è assai più di rado quella idilliaca che una volta si diceva “del Mulino Bianco”: essa è terreno di confronto, di scontro e talvolta perfino di violenza, ma a questo non ci si può rassegnare, non la si può considerare una deriva inevitabile. Al di là dei tragici fatti di cronaca che si consumano fra le mura domestiche, anche le famiglie cosiddette “normali” sono chiamate ad una semina costante di germi di pace. Esse sono come dei cantieri, dei lavori in corso permanenti (come quelli delle nostre strade!) in cui quando crolla un pezzo di muro a fronte di uno scontro che non si è riusciti ad evitare, la volta dopo si è pronti tutti insieme con calce e mattoni per ricominciare. Sono gesti e sono parole, il Papa parla di “grammatica” e fa pensare a quei “Permesso, grazie, scusa” coniati da papa Francesco che – lo ricorderemo – ha tante volte chiesto agli sposi di tirarsi pure i piatti, durante un litigio, ma di non andare a letto senza fare la pace perché il giorno dopo non ci sia da affrontare una “guerra fredda” più cruenta di quella precedente. La costruzione della pace immaginata dal Papa emerito nel suo messaggio del 2008 ha questi stessi connotati, riserva alla “culla della vita e dell’amore”, al “luogo primario dell’umanizzazione” una dimensione privilegiata.
Da qui si può e si deve partire perché anche la grande famiglia umana possa sperare nella pace. E allora ecco che Benedetto XVI ha modo di allargare il suo messaggio per cerchi concentrici sempre più larghi. La dimensione comunitaria dell’intera umanità, i principi concretissimi che il Vangelo sostiene di una fratellanza universale; in un secondo momento i diritti di cui tutte le famiglie dovrebbero godere per poter essere baluardi di pace nel mondo: la casa, il sostentamento, la salute, l’istruzione. Le stesse connessioni che si creano fra la famiglia degli uomini l’ambiente comune e l’economia che regola gli scambi fra i Paesi: tutto questo rientra nel grande alveo dell’invito alla pace che la Chiesa non smette di lanciare ogni anno, il 1 gennaio, da quando Paolo VI ha istituito la prima giornata mondiale della pace nell’emblematico anno 1968. Difficile dire a che punto siamo oggi, certo fa un po’ impressione leggere dell’invito pressante di papa Ratzinger al superamento dei conflitti, ai disarmi bilaterali, allo smantellamento progressivo e concordato delle armi nucleari esistenti e verificare che questo è ancora oggi oggetto di trattative attuali, di auspici, di speranze e non di certezze. Perché l’uomo continua a fare la guerra? Perché in tante parti del mondo ci sono bambini che muoiono sotto le bombe di nemici che non conoscono? Anche l’uomo credente può cantare come Bob Dylan “risposta non c’è o forse chi lo sa, caduta nel vento sarà”, eppure ogni giorno gli è chiesto di essere per la sua parte dispensatore di pace ad ogni passo e a mani piene.