Quel merito che non riconosciamo più
L'incredibile silenzio che ha accompagnato l'addio a Roberto Bassi, di Lugo di Vicenza, moderno Marco Polo, che nel 1971 percorse a piedi gli 11 mila chilometri che separano Roma e Tokio perché non venisse dimenticata l'impresa dell'aviatore thienese Arturo Ferrarin. "Solo silenzio che di certo dice tutto sul nostro senso etico di “rendere omaggio”. I veneti moderni sono anche questo: silenti davanti a tutto e tutti, anche quando è il “bene” a mostrarsi. Anche allora preferiscono non dire. Non ricordare. Non riconoscere un merito conseguito sul campo, che per noi diventa un demerito storico e cronico".
Da anni, tra le stranezze del nostro paese che non smette di stupirci, si è consolidata l’idea che la “meritocrazia” non ci appartenga più.
Scelgo quindi da internet queste tre spiegazione sul senso del “merito”:
- Quanto di buono si ottiene grazie all’“osservanza religiosa” e dalla fede in Dio.
- Ciò che rende favorevole una condizione individuale e/o collettiva.
- Ciò che rende degno d’elogio per le proprie capacità.
Mi spendo a raccontarvi l’episodio di qualche giorno fa che riguarda la scomparsa di Roberto Bassi, 75 anni di Lugo di Vicenza. Ai più questo nome non ricorderà nulla, tanto che in internet bisogna digitare “camminatore” per non incappare in omonimi.
Con questo titolo, Roberto Bassi è passato alla storia. Sulla sua bara, il giorno del suo funerale il 19 agosto scorso, c’era un faldone di centinaia di fogli con i suoi appunti di viaggio e il cappello da camminatore in foglie di pioppo, utili come isolamento, a rappresentare la sua grande avventura per strada avvenuta nel 1971, quando partendo da Roma arrivò a piedi a Tokyo dopo 11 mila chilometri e 12 paesi attraversati.
Il tutto per onorare la memoria di un suo conterraneo, l’aviatore Arturo Ferrarin, che nel 1920 fu il primo a trasvolare da Roma al Giappone senza scalo. Fu un’impresa d’aria. Quella di Bassi invece, fu una camminata di terra. Quasi un atto di fede verso la memoria che rischiava di far scomparire un’impresa altrui.
Bassi ne trasse una personalissima avventura straordinaria, tanto da essere raccontata in un libro di oltre 400 pagine. Ricevette al suo ritorno riconoscimenti ed encomi come moderno Marco Polo impegnato per la “pacificazione tra i popoli”. Camminò nel Vietnam in guerra. Ma soprattutto fece l’impresa senza sponsor, cellulari satellitari o Gps e alcuna sorta di accreditamento ufficiale. Solo con se stesso, per le strade del mondo.
Senza neppure la tecnologia ai piedi che oggi va tanto di moda con le scarpe alla moda. Dei suoi cinque paia di scarponi consumati, gli ultimi pesantissimi sono oggi esposti nella mostra Camminamente , presso la basilica di San Francesco in Assisi fino al 4 ottobre prossimo.
Roberto dopo questo pieno di celebrità (era il 1972), tornò a fare il suo mestiere di sempre: il venditore di legna. Cosa che fece per una vita, assistendo allo scemare della sua popolarità fino a essere dimenticato. Ne era conscio! Gli ultimi anni trascorsi in carrozzina e in una casa di riposo, hanno contribuito a stendere un velo pietoso sulla sua storia.
Peccato! Uomini così non ne nascono molti in un secolo. Camminatori così, forse, non esistono nemmeno più. Tutto questo credo bastasse a rendergli il giusto tributo almeno al suo funerale, con gli amministratori presenti occultati tra il popolo, senza fascia e ufficialità. Nessun encomio funebre. Nessun valore al merito per un semplice uomo che ha fatto un’impresa. Nessuna meritocrazia tributatagli per fare memoria per chi verrà dopo di lui.
Solo silenzio che di certo dice tutto sul nostro senso etico di “rendere omaggio”. I veneti moderni sono anche questo: silenti davanti a tutto e tutti, anche quando è il “bene” a mostrarsi. Anche allora preferiscono non dire. Non ricordare. Non riconoscere un merito conseguito sul campo, che per noi diventa un demerito storico e cronico.