Nemmeno Vaia ci è bastata a cambiare rotta
Una domenica, l’ennesima, di disastri ambientali dopo un’estate segnata in Veneto da uno stillicidio di nubifragi. L’emergenza climatica ormai si va trasformando in normalità. E la politica tace...
A due anni dalla tempesta Vaia, quanto accaduto in un’ora domenica 23 agosto scorso, con replica poi nei giorni successivi, sembra una fotocopia del dramma vissuto in montagna. Un micidiale mix climatico, con nubifragi che si mostrano come schiaffi al territorio, senza risparmiare città come Verona e campagne. Situazioni fotocopia ad Arzignano e Rovolon, con fenomeni di una intensità mai vista prima come spiegano climatologi e metereologi.
I “capricci” del clima ormai non sono più fatalità, ma quotidianità. Solo a metà agosto a Grumolo delle Abbadesse in appena mezz’ora si è perso il 70 per cento del pregiato riso Dopg. Una successione di eventi tale da perdere il conto, che mette in luce il bisogno assoluto di una nuova governance territoriale, con strategie che prevedano l’aggiornamento delle pianificazioni vigenti e reali sinergie tra studi, progettazione geologica e progettazione strutturale urbanistica, arrivano a supplicare i tecnici più illuminati.
Ma continuiamo a chiamarlo “clima impazzito”, quando i responsabili diretti o indiretti siamo noi. Mentre si piangono i danni e solo per fortuna non i morti, c’è da chiedersi perché il grande appello per la prevenzione territoriale esca poco o niente dalle bocche stesse dei candidati a guidare il Veneto. Si fa prima a proclamare lo “stato di calamità” o coniare slogan come “Veneto: consumo di territorio zero”, per poi approvare invece un piano casa che seguita a dare sfogo alla cementificazione.
Il Veneto è ormai al collasso, ma si continua a puntare sulle grandi opere che disegnano un futuro fatto ancora di cementificazione con impoverimento del suolo e perdita di biodiversità. Se non smettiamo di trattare la terra come un “oggetto”, saremo noi a finire presto sottoterra.