Il rischio dei tagli sulla salute su disabilità e salute mentale. La preoccupazione delle associazioni
Disabilità e salute mentale. Preoccupate Confcooperative Federsolidarietà, Uneba e Anffas: a causa dell’aumento dei costi, senza un accordo con la Regione, i servizi sono compromessi
La torre campanaria di Palazzo Moroni illuminata di verde. Ma anche piazza Aldo Moro a Bari o la Mole antonelliana a Torino. Nella sera di giovedì 10 ottobre, alcuni luoghi più o meno simbolici di 13 città italiane, si sono “accesi” di verde smeraldo in occasione della Giornata mondiale della salute mentale, un segno visibile di solidarietà e impegno condiviso per una società più consapevole e inclusiva. Ed è proprio attorno alla parola consapevolezza che, qualche ora prima nella sede del Gruppo Polis a Padova, Confcooperative Federsolidarietà, Uneba e Anffas hanno orientato una conferenza stampa per evidenziare la difficile situazione che i servizi in Veneto, rivolti alle persone con disabilità e problematiche di salute mentale stanno affrontando a causa degli incrementi legati ai rinnovi dei contratti collettivi nazionali e alle spese derivati dall’inflazione. Insomma, le risorse per garantire i servizi e la loro qualità sono insufficienti, ma dopo un lungo confronto con la Regione Veneto, la distanza è ancora ampia. Quanto? «La distanza è importante – evidenzia Roberto Baldo, presidente di Confcooperative Federsolidarietà Veneto – Abbiamo stimato che per garantire un livello adeguato di tenuta del sistema per i servizi legati a disabilità, salute mentale, dipendenze e infanzia, l’investimento nel triennio è di 85 milioni di euro. La Regione ne ha messi 50. Stiamo attendendo un incontro con l’assessore Manuela Lanzarin, abbiamo che capito il tema è eventualmente spostare e riassegnare le risorse da un settore a un altro». Parliamo di 14.200 persone fragili prese in cura da 16 mila lavoratrici e lavoratori; l’80 per cento è composto da donne, il 75 per cento sono diplomati e, di questi, quasi uno su due ha anche un titolo di laurea. «Un sistema che non dà il giusto riconoscimento a queste professionalità – insiste Baldo – mette a rischio una parte significativa del welfare. Questi lavoratori gestiscono, nella disabilità il 90 per cento dei servizi residenziali e diurni, e il 60 per cento dei servizi legati alla salute mentale. Sono veri e propri livelli essenziali di assistenza che dovrebbero essere erogati dalla Pubblica amministrazione, ma da ormai 30 anni, anche con lungimiranza, sono in mano al Terzo settore, attraverso servizi accreditati dalle Ulss, a loro volta finanziati da Regione e Comuni». Negli ultimi anni sono aumentate le spese per i pasti, la manutenzione degli immobili, l’energia, i trasporti e tutti gli altri servizi necessari alla gestione di queste strutture. Nonostante questi significativi rincari, la Regione non ha ancora concordato una revisione delle rette sufficientemente adeguata, dopo più di un anno dalle prime richieste delle organizzazioni. Le tariffe proposte finora non riescono a coprire interamente né i nuovi costi del lavoro né quelli operativi, che hanno registrato aumenti tra il 18 e il 20 per cento. E poi c’è il Contratto collettivo nazionale, applicato dallo scorso febbraio ai lavoratori a cui spettano 150 euro lordi in più in busta paga, entro i prossimi tre anni: «Il nuovo contratto delle Poste prevede un aumento di 230 euro con una tantum di 1.000 euro – rincara la presidente regionale Anffas, Graziella Lazzari Peroni – Capisco benissimo chi accetta di cambiare mestiere o di andare nella sanità pubblica. Ma alla Regione dico che in questa fase di cambiamento, per garantire i servizi del futuro, ci vogliono coprogrammazione e coprogettazione. Bisogna farlo insieme: c’è una preoccupazione enorme per quelle famiglie che invecchiano sempre più e che devono garantire ai propri figli con disabilità un’assistenza 365 giorni l’anno 24 ore al giorno. Senza servizi non ci sono diritti per le persone con disabilità e per le loro famiglie». Sulla stessa linea, Stefano Rizzo, rappresentante di Uneba Veneto, che rimarca la necessità di ridurre il gap, anche economico, per rendere “attrattivo” un impegno al momento distante non solo dalla sanità pubblica, ma anche dai contratti del commercio, metalmeccanici e altre professioni. «Il punto è che per sostenere la riforma e il cambiamento dei servizi, e non solo mantenere quelli già in essere, servono anche gli educatori – insiste Rizzo – Nell’ottica della personalizzazione, cambieranno i servizi e quindi avremo sempre più necessita di professionisti dedicati a sviluppare progetti di vita delle persone. Se non riusciamo a reperire operatori e professionisti, non riusciremo a dare risposte coerenti: al momento anche il personale che arriva dall’estero non è detto che funzioni perché la relazione con la persona è di lungo periodo, è al centro della cura. Vorrei, infine, sottolineare che il tema della salute mentale ha numeri crescenti e che riguardano tutte le fasce della società. La nostra preoccupazione va per gli adolescenti». In Consiglio regionale, la consigliera del Pd, Anna Maria Bigon ha riferito che in Veneto gli atti di autolesionismo nel biennio 2020-2022 hanno avuto un incremento del 5,7 per cento tra i maschi e del 16,9 per cento tra le femmine rispetto al triennio precedente. I suicidi raggiungono, invece, il tasso del 7 per 100 mila abitanti e anche per quanto riguarda i disturbi alimentari, il numero di utenti in carico è passato dai 2.225 di fine 2018 ai quasi 3 mila del 2023. Attorno al tavolo si è seduta anche Tiziana Boggian, in qualità di portavoce del Forum del Terzo settore del Veneto: «Il welfare è l’architrave su cui si basa una società fatta di diritti, stiamo parlando di livelli essenziali di assistenza erogati a una popolazione che ha diritto di avere servizi di qualità. È un sistema che ha a che fare con la vita delle persone, la tenuta di chi vive, lavora e si deve fidare e affidare a personale qualificato per continuare il progetto di vita. Ma con quali presupposti vogliamo costruire le comunità? È necessaria la riassegnazione del valore di chi lavora nel sociale, l’educatore, l’infermiere, l’operatore socio-sanitario. È un tema culturale soprattutto in una fase di fragilità, di deriva e di aumento delle diseguaglianze. Se non si mette tutto questo al tavolo, noi non potremo fare trasformazioni radicali affinché tutte le persone possano vivere con dignità e secondo la propria realizzazione». Contattato, l’assessore conta di convocare a breve un incontro con le organizzazioni del Terzo settore, per poi riferire. Con l’auspicio che la luce verde sia accesa non solo un giorno all’anno.