Fare i conti con i dazi

E’ certamente necessaria una risposta ferma e razionale e tale risposta non può essere un singolo Paese a darla, ma l’Europa come tale

Fare i conti con i dazi

L’offensiva sui dazi di Trump, annunciata da tempo e messa in opera a partire dall’inizio di aprile, segna uno spartiacque nella situazione politica ed economica mondiale. Qualcuno l’ha paragonata agli attentati dell’11 settembre o all’esplosione della pandemia da Covid. Raffronti di questo tipo non reggono a un’analisi attenta degli eventi, delle loro cause e delle loro conseguenze. Danno però l’idea della percezione di uno sconvolgimento profondo, tanto più profondo se si considera che non sono in gioco soltanto gli equilibri economico-finanziari, ma anche gli assetti geopolitici e lo stesso sistema dei valori della comunità internazionale. Il nazionalismo aggressivo (ma quale nazionalismo non è aggressivo?) del presidente Usa costringe tutti a un riposizionamento o quanto meno a compiere scelte che fino a pochi mesi fa sembravano fuori dal mondo.
Questo vale anche per l’Italia e per i suoi soggetti politici e istituzionali. Volendo schematizzare – operazione sempre ardua di fronte a fenomeni di estrema complessità – le reazioni sono di tre tipi. C’è chi, dentro e fuori la maggioranza, fa apertamente il tifo per Trump. E’ una posizione di natura ideologica, anche se chi la sostiene cerca in qualche modo di sostenere che l’azione del tycoon corrisponda agli interessi del nostro Paese. Ma è un’impresa improba, non basta neanche cercare di arrampicarsi sugli specchi tanto è evidente il contrasto, caratteristico dei sovranismi e specialmente di quelli più estremi, tra gli interessi nazionali degli uni e degli altri. Prima gli americani o prima gli italiani? Chissà.
C’è chi minimizza e sostiene che gli effetti dei dazi americani non saranno poi così disastrosi per la nostra economia e che quindi bisogna negoziare. Un conto però è sostenere, come ha fatto la premier Meloni, che non bisogna farsi prendere dal panico, un conto è illudersi che passerà tutto come acqua fresca. La reazione a caldo dei mercati finanziari ha visto Milano in testa alla classifica negativa delle perdite che hanno affondato le borse europee e, parlando di economia reale, la Banca d’Italia ha già calcolato l’impatto che i dazi avranno sulla nostra crescita, riducendola a uno striminzito 0,6% per l’anno in corso e tagliando le stime anche per il 2026 e il 2027, quando non avremo più neanche il supporto del Pnrr.
C’è poi chi risponderebbe a testa bassa, dazio contro dazio, nella convinzione che non è affatto scontato che sia Trump a vincere su scala globale. E che il presidente americano potrebbe aver sbagliato radicalmente i suoi calcoli, non valutando in modo corretto le ripercussioni interne della sua politica. E’ una posizione che si nutre anche di una non ingiustificata indignazione per l’autoritarismo aggressivo del leader Usa. Ma quali sarebbero gli effetti a livello mondiale? Vincere sulle rovine è una prospettiva che non dovrebbe allettare nessuno.
E’ certamente necessaria una risposta ferma e razionale e tale risposta non può essere un singolo Paese a darla, ma l’Europa come tale. Non è soltanto una questione formale – la politica commerciale è di competenza comunitaria – ma sostanziale. Soltanto la Ue ha il peso specifico e le relazioni internazionali adeguate (il mondo non si esaurisce con gli Usa) per stare di fronte allo strapotere trumpiano. Questo non esclude che ci possano essere margini per azioni diplomatiche di singoli Stati come il nostro. Se esse sono realisticamente praticabili devono essere percorse, ma senza ambiguità, senza la vana ricerca di paci separate. La nostra casa è l’Europa e questo dev’essere chiaro a tutti, a cominciare da Trump.

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Fonte: Sir