DemocrazIA
Oggi dobbiamo custodire la democrazia al tempo dell’efficacissima intelligenza artificiale, al cui confronto la televisione sembra un gioco per ragazzini

Non c’è nulla di nuovo nell’affermare che le tecnologie siano tra i più potenti strumenti per costruire e influenzare l’opinione pubblica. Ne abbiamo discusso appassionatamente con l’avvento della televisione e prima ancora della radio, per non parlare dei miliardi di volantini distribuiti per vendere un prodotto o sostenere un personaggio politico. A voler guardare ancora più indietro, l’invenzione della stampa ha innescato uno dei processi di diffusione di idee e opinioni fra i più fecondi della storia; per un popolo analfabeta, infine, le immagini sono stati per millenni luoghi di trasmissioni di saperi e di visioni del mondo, talvolta molto parziali e bellicose fra loro. Naturalmente a servizio dei ricchi e potenti del tempo, unici a potersi pagare i servigi della tecnologia del momento.
Paradossalmente oggi siamo in grado più del passato di mitigare l’effetto delle tecnologie nella costruzione (o distruzione) dell’opinione pubblica, grazie a una diffusa cultura popolare e alla custodia di regole democratiche che preservano anche le voci delle minoranze. Paradossalmente… perché, se c’è un campo in cui i sistemi di intelligenza artificiale sono particolarmente efficaci, questo è proprio quello delle campagne di opinioni, commerciali e politiche.
Oggi il combinato disposto di intelligenza artificiale e social media costituisce un vero e proprio pericolo per la democrazia. Lo scandalo che ha rivelato questa tragica alleanza nel 2018 è stato certamente il caso Cambridge Analytica, dal nome della società che si è scoperto aver raccolto i dati di 87 milioni di utenti Facebook, naturalmente a loro insaputa, per utilizzarli in campagne politiche.
Vi sarete accorti che, quando vi soffermate qualche secondo in più del solito su un video di gattini, ecco che iniziate a vedere solo gattini e i cagnolini scompaiono dal vostro universo immaginario. Il sistema registra tutto, anche i secondi che spendiamo davanti a ogni video, e gli algoritmi lavorano, profilandoci e schedandoci in un dettaglio inimmaginabile, offrendoci quello che cerchiamo o quello che qualche cliente pagante vuole che vedano quelli che sono esattamente come noi. Così succede che la varietà di opinioni si dirada, uno vede soltanto certe cose e ascolta soltanto certe idee, fino a che queste diventano il tutto della realtà. Se poi ci aggiungiamo che la logica dei social è estremamente polarizzante e conflittuale, che sono pochi i soggetti in grado di pagare per questi servizi raffinati generando una concentrazione di potere inaudita, e che l’AI generativa è capace di produrre in pochi secondi notizie tanto false quanto plausibili, il gioco è fatto. E dallo schermo dello smartphone alla cabina elettorale o allo scaffale del supermercato il passo è breve.
Sì, abbiamo un serio rischio democratico. Lo abbiamo sempre avuto: “la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile” diceva Tina Anselmi, primo ministro donna nel 1976. Oggi dobbiamo custodire la democrazia al tempo dell’efficacissima intelligenza artificiale, al cui confronto la televisione sembra un gioco per ragazzini.
Come possiamo farlo? Con gli strumenti di sempre. Anzitutto quello culturale: la conoscenza, critica e diffusa, è sempre stata il più grande alleato della democrazia, abile strumento per smascherare riduzioni e imbrogli. Poi maggior consapevolezza degli strumenti tecnologici che utilizziamo, ahimè, ancora troppo a cuor leggero. Inoltre, dobbiamo esigere regolamentazioni che mettano paletti e obblighino i soggetti coinvolti a onestà e trasparenza. Infine, proprio utilizzando la tecnologia, tanto efficace nel torbido quanto nella lotta al torbido, come molti sistemi già in uso, forse sconosciuti ai più, dimostrano.
Certo non continuando a lanciare sguaiati e sterili grida di allarme, magari utilizzando esattamente social e cellulari o, peggio, invocando il ritorno al passato. Quando tutti comperavano e votavano quello che diceva la televisione.
Andrea Ciucci