Non uno scontro, ma una “crisi di crescenza” nella Chiesa

Il rinvio dell’Assemblea sinodale riflette l’ingresso della tensione tra consenso e dissenso nell’agenda ecclesiale. Non segno di divisione, ma “crisi di crescenza” che avvicina la Chiesa al modello processuale voluto da Papa Francesco

Non uno scontro, ma una “crisi di crescenza” nella Chiesa

Da un suggestivo auspicio (Perché la gioia sia piena) a una narrazione (per lo più giornalistica) carica di contrapposizioni, clamore e sensazionalismo. Potrebbe essere questa la sintesi delle reazioni “di pancia”, a margine del rinvio chiesto durante la seconda assemblea del Cammino sinodale delle Chiese in Italia. Parlare di bocciatura, di tensioni tra il vertice e la base, di malcontento dei delegati, avrebbe anche un senso, se si capisse però che la comunità ecclesiale non può (più) essere percepita come un feudo in mano agli umori di presunti sovrani, né tantomeno come un paese dei balocchi dove regnano allegria e armonia e, quindi, immune a contrasti di ogni tipo. Non spetta a chi scrive analizzare le questioni che hanno portato alla disapprovazione del testo conclusivo, anche perché non presente nei tavoli di lavoro.

Leggere le preposizioni finali non è altresì sufficiente per supportare un’analisi che risulterebbe intuitiva e orientata da impressioni del momento.

La vicenda offre, tuttavia, spunti fecondi per riflettere sulla Chiesa non come Mistero o Corpo Mistico (lasciamolo fare ai teologi), ma come un’organizzazione aperta a tutti i membri della società, come un insieme di mondi sociali e culturali fondati su un imprescindibile dato di fede. Questa lettura è, pertanto, circoscritta entro una cornice sociologica che parte da una (quasi) certezza: la contemporaneità pluralista, frammentata e complessa tocca, travolge e destabilizza la Chiesa. Non si tratta certamente di una novità: sono decenni che sentiamo parlare di secolarizzazione, di scristianizzazione, di fede incerta, di proiezioni e numeri catastrofici. Così come sono all’ordine del giorno le “terapie d’urto” per rievangelizzare, rinnovare le prassi pastorali, abitare i nuovi spazi e parlare i linguaggi moderni.

La recente assise sinodale ha riproposto tutto questo e tanto altro, ma si è trovata di fronte ad un provvidenziale imprevisto: il popolo di Dio ha superato i limiti dell’“ecclesialmente corretto”, rimodulando le consuete narrazioni spinte sulla percezione di una comunione a tutti i costi.

Anche qui nulla di particolarmente innovativo. Lo stesso Concilio Vaticano II fu terreno di scontri aspri (meno pubblicizzati), così come basta partecipare a un qualsiasi consiglio pastorale parrocchiale per trovarsi di fronte a scene non diverse da quelle di una riunione di condominio. Ciò che è inedito è che da oggi la tradizionale tensione tra “consenso” e “dissenso” è entrata di diritto nell’agenda ecclesiale. Il rischio – penseranno in molti – è quello di trasformare la Chiesa in un Parlamento. Papa Francesco ci ha messo in guardia da questo pericolo, spiegandoci in Evangelii gaudium che “uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio-politica consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi”. È questo il motivo per cui ci ha donato un Sinodo che sancisce un passaggio rivoluzionario: quello da una chiesa progettuale (burocratica, procedurale, scadenzata, proiettata al risultato) a una processuale (indeterminata, coinvolgente, senza ansietà, dinamica, sognatrice, imperfetta). Il primo passo per interiorizzare la logica processuale è proprio capire che nessun processo sarebbe tale se non abbracciasse dinamiche conflittuali.

Non a caso Gesù, vive quotidianamente i conflitti: in famiglia, con i discepoli, con gli scribi, i sacerdoti e i farisei. Egli stesso nasce come un segno di contraddizione, così come la sua morte e la sua risurrezione sono caratterizzate da divergenze, divisioni e sospetti. Quello che si è vissuto lo scorso 3 aprile, dunque, non è un sintomo patologico e distruttivo, ma una delle tante storie di salvezza che la comunità cristiana ha vissuto e che continuerà a vivere. Mi piace definirla, citando Gaudium et spes, una “crisi di crescenza”, che recherà con sé non poche difficoltà e malumori, ma resta – nonostante tutto – un seme rinnovato dell’unione di Dio (e della sua gioia piena) con la famiglia umana.

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Fonte: Sir