Papa Tawadros II: “La nostra preghiera è che la pace ci sia concessa e si diffonda su tutta la terra”
"Abbiamo una forza particolare che ci permette anche di poter perdonare quelle persone che ci hanno fatto del male, anche chi ci ha causato attentati dolorosi". La forza del perdono, di un amore capace di non piegarsi alla morte ma di continuare ad alzare gli occhi al Cielo. È la testimonianza della piccola comunità di minoranza dei copti ortodossi di Egitto e a raccontarla al Sir è Sua Santità Papa Tawadros II. Lo abbiamo incontrato nella cattedrale di san Marco al Cairo alla vigilia della Settimana Santa
La Via Crucis passa anche da qui. Passa per la cattedrale di san Marco al Cairo, nel quartiere di Abbasseya, sede del Patriarcato copto ortodosso di Egitto, casa della piccola minoranza cristiana che in questo immenso Paese di sabbia, storia e Nilo, rappresenta appena il 10% della popolazione egiziana. È qui che l’11 dicembre 2016 12 chili di tritolo sono stati fatti esplodere nella cappella di san Pietro e Boutrosseya dove si stava celebrando la messa. Il bilancio fu di almeno 25 morti, tra cui 6 bambini, e 35 feriti. I loro volti sono ancora lì, riprodotti in una gigantografia all’ingresso della cappella. Non le chiamano “vittime del terrorismo”, come succede in Europa, ma martiri. Sono le 19, probabilmente alla chiusura degli uffici e il complesso della cattedrale è popolato di gente: uomini, donne e bambini. Un via vai continuo, nonostante dentro e fuori i controlli sono serrati. Perquisizioni, metal detector, poliziotti armati di mitra e giubbetto antiproiettile sembrano ormai far parte della normalità di questo spaccato di umanità. Le immagini del terrore – i calcinacci, i corpi dilaniati, il pianto delle donne – purtroppo non finirono nel 2016. Anche l’anno successivo, il 2017, fu durissimo per la comunità cristiano-copta d’Egitto: secondo il conteggio dell’Associated Press, dal dicembre 2016 ci sono stati almeno 100 morti e centinaia di feriti. L’attacco più sanguinoso, rivendicato dall’Isis, avvenne la domenica delle Palme. Prima l’esplosione durante la messa nella chiesa di san Giorgio a Tanta, a nord del Cairo. Poi l’attentato nella cattedrale di san Marco ad Alessandria. Ancora morti, ancora martiri. I copti ortodossi celebrano la Pasqua domenica 8 aprile, seguendo il calendario giuliano. Le chiese si riempiranno di nuovo. L’allerta sarà massima. Per questo il Sir è volato al Cairo ed ha chiesto un incontro con Papa Tawadros II, capo della Chiesa copta ortodossa e patriarca di Alessandria.
Santità, per i cristiani la Pasqua è la vittoria della Vita sull’oscurità della morte. Che cosa significa vivere questa festa in una terra colpita duramente dal terrorismo?
La Croce Santa non era l’ultima tappa e neanche la morte di Gesù, che noi celebriamo il Venerdì Santo, era la fine. Quando è arrivato il giorno della Resurrezione di Gesù Cristo è nata la Vita. La croce è composta da due parti. Quella orizzontale rappresenta la terra ed è la croce della passione e dei dolori. E poi c’è la parte verticale che rappresenta la relazione tra la terra e il cielo. È la parte che simboleggia la speranza. Per questo noi teniamo fortemente la Croce tra le nostre mani perché è la nostra Speranza e perché dentro questa Croce sono comprese tutte le passioni e tutti i dolori del mondo.
Le forze oscure della morte sono sempre all’opera nella storia umana e voi lo sapete molto bene. Siete vittime di una lunga scia di sangue. Il terrorismo ha colpito nelle vostre chiese e continua a mietere vittime anche in Europa.
Noi abbiamo la speranza che tutti i martiri, che sono caduti in tutti gli attentati, sono in cielo. La Croce fa da ponte tra il cielo e la terra. Noi crediamo che questi martiri sono andati dall’altra parte della riva del mare e non hanno mai perso il rapporto con noi. Sono andati nella sponda della vita che non finisce mai e non avrà mai fine. Questo ci dona una pace profonda e anche gioia.
Lei è padre spirituale del popolo copto ortodosso. Le chiese per le celebrazioni della Pasqua si riempiranno. Non ha paura per la sicurezza dei suoi fedeli?
Il nostro sentimento (e lo è per tutto l’anno, non solo per la Pasqua) è che siamo nelle mani del Signore. Nelle mani del Dio che ha amato e ama tutti gli esseri umani e fa di tutto per il nostro bene. Dio è giudice. Lui è il padrone della vita e della morte. Quello che possiamo fare è pregare e lavorare per la pace. La nostra preghiera è che la pace ci sia concessa come dono e si diffonda su tutta la terra.
Abbiamo sentito che i copti ortodossi, soprattutto chi ha perso un familiare o un amico negli attentati, hanno perdonato i loro assassini. Come si fa a perdonare dopo aver vissuto un dolore così forte?
La cosa più importante è avere sotto i nostri piedi un terreno di amore e l’amore non conosce fine e limitazioni. Noi amiamo tutte le persone. Noi facciamo quello che ha fatto Gesù Cristo. È scritto nella Sacra Bibbia. Dio ha amato tutta l’umanità fino alla fine. E se noi amiamo ogni persona con questa misura, noi dovremmo anche pregare per ogni persona. Il Signore osserva le nostre opere. Nella preghiera del Padre Nostro, ad un certo punto diciamo: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”.Quando abbiamo nel nostro cuore un amore così, quando la nostra preghiera è sincera, quando crediamo nel perdono del Signore, abbiamo una forza particolare che ci permette anche di poter perdonare quelle persone che ci hanno fatto del male, anche chi ci ha causato attentati dolorosi.
Non è facile…
Per questo invochiamo la forza dello Spirito Santo.
Lei ha incontrato recentemente il principe dell’Arabia Saudita che, per la prima volta, le ha chiesto qui, al Cairo, un’udienza. E poi ha partecipato alla conferenza internazionale su Gerusalemme organizzata dall’università al-Azhar. Quali speranze di pace intravede per l’Egitto e per il Medio Oriente?
Le convergenze tra i leader e soprattutto tra i leader religiosi, il dialogo permanente e continuo, la partecipazione a iniziative comuni alla cui base ci devono sempre essere rispetto e amore. Noi crediamo che tutti questi fattori siano essenziali per la costruzione della pace dappertutto. Le antiche tradizioni copte quando parlano dell’amore dicono: dovresti toglierti le scarpe quando parli di Dio. Solo una fede così può sconfiggere il terrorismo e il peccato.
Molto importante è per voi copti in Egitto la costruzione di una nuova cattedrale in Cairo. Sorge nella nuova capitale amministrativa che l’Egitto sta costruendo e sarà chiamata “Basilica della Natività di Cristo”. Che significa per voi avere un luogo di culto così prestigioso nel cuore dell’Egitto?
Questa cattedrale è stata costruita per ordine del presidente Abd al-Fattah al-Sisi. Vicino a questa cattedrale verrà costruita – ed una parte della costruzione è già avviata – una moschea. Il che rappresenta la nuova espressione del diritto di uguaglianza tra musulmani e cristiani.
Questo è il criterio nuovo che verrà applicato in qualsiasi villaggio del paese. Nella celebrazione del Natale 2017 il presidente al-Sisi ha dato annuncio della costruzione della cattedrale e come aveva promesso, un anno dopo, per la vigilia del Natale del 2018, siamo andati lì, abbiamo inaugurato la prima parte di questa cattedrale ed abbiamo celebrato una messa. Vado personalmente a celebrare la messa tutti i venerdì. Due settimane fa è andato uno dei nostri vescovi ed erano presenti quasi mille persone.
Papa Francesco: come sono i suoi rapporti con lui dopo la visita del Santo Padre al Cairo?
È stata una visita di benedizione non solamente per la nostra Chiesa ma per tutto l’Egitto. Ricordo i suoi incontri con il presidente, il grande imam, con noi e con la comunità cattolica. Sono stati di grandissimo rilievo. Ritengo che la preghiera ecumenica congiunta che abbiamo tenuto insieme qui in ricordo dei nostri martiri, sia stata la più importante tappa della visita. Una tappa spirituale e simbolica che esprime il nostro desiderio di realizzare la preghiera di Gesù per l’unità. Un passo importante sul cammino che stiamo percorrendo lungo questo sentiero. Siamo in contatto assiduo e continuo con Sua Santità sia per i dialoghi teologici che sono stati intrapresi, sia con la partecipazione alle conferenze organizzate dal Vaticano come quella attuale del Sinodo dei giovani. E sono buoni e continui anche i rapporti con la Chiesa cattolica in Egitto tramite il Consiglio delle Chiese. Con Papa Francesco ci sentiamo anche per telefono.
Si stanno svolgendo le elezioni. Che cosa spera per l’Egitto?
Le elezioni presidenziali sono sempre una importantissima opportunità per ogni egiziano per esprimere il proprio amore per la patria. E per questo è importante la partecipazione alle elezioni. Il presidente attuale gode di una grandissima popolarità e c’è un desiderio fortissimo da parte della popolazione di rieleggerlo in modo da dargli la possibilità di completare due battaglie cruciali per la storia dell’Egitto moderno. La prima è la lotta contro il terrorismo e la violenza. E questa guerra l’Egitto la sta combattendo per tutto il mondo. La seconda battaglia è per lo sviluppo e la costruzione. E anche questa battaglia l’Egitto la sta facendo per tutto il mondo perché un Egitto stabile è garanzia di stabilità per il mondo intero”.