Davide e Betsabea. Ogni volta che la logica del dono è sostituita dalla logica del possesso ecco che è necessario convertirsi
Il peccato di Davide è stato quello di aver considerato Betsabea, non come una donna, quindi una persona con la sua immensa dignità di figlia di Dio, quanto piuttosto come una cosa da poter possedere a suo piacimento.
Davide, il grande re Davide è un altro protagonista della Bibbia di cui il testo sacro non nasconde la piena umanità. Non è un supereroe secondo gli stilemi della letteratura classica, egli è fragile, il più piccolo dei suoi fratelli tanto che anche il profeta Samuele stesso sembra meravigliarsi che sia lui il prescelto per essere unto re (1Sam 16,6-15). Anche nel caso della vittoriosa sfida con il gigante Golia è nella destrezza e non nella magnificenza della forza che egli trova il motivo della sua vittoria (1Sam 17, 40-54). Dopo la lunga contesa con Saul per la presa del potere (1Sam 18-31), Davide sale al trono (2Sam 2,1-4) e una tradizione esegetica con un suo fondamento gli attribuisce l’elaborazione di molti dei Salmi di cui si compone questo grande libro poetico della Bibbia. Anche in questa sua manifestazione di talento artistico Davide rende manifesta la sua fede nel Signore, ma anche la sua gioia nel lodarlo, la contrizione nel chiedergli perdono, l’intimità con cui sa trovare parole per rivolversi all’Altissimo. È un uomo a tutto tondo che si mostra per quello che è. E in un famoso episodio raccontato nel secondo libro di Samuele viene narrato il suo grande peccato (2Sam 11, 1-27).
Egli ha già una moglie e secondo l’uso dell’epoca è immaginabile che avesse anche un harem di concubine, eppure sprofonda nel peccato di cupidigia nei confronti della bellezza fisica di Betsabea. Lui non è innamorato di questa donna, non la conosce assolutamente, l’ha solo vista e d’improvviso la desidera, accecato dal desiderio. Appare una situazione comune che purtroppo contraddistingue molti adulteri anche ai giorni nostri. Spesso i coniugi dimenticano la responsabilità richiesta dall’amore autentico, spengono la volontà e la razionalità e si fanno guidare solo da una passione che è davvero cieca e non permette di valutare le conseguenze delle proprie azioni. La differenza di molti rispetto a Davide è che è raro disporre del potere di re, per cui oggi le avventure extraconiugali sono fughe in cui ciascuno mette in campo le sue poche forze e i suoi piccoli sotterfugi, nel caso di Davide, invece, il peccato aumenta esponenzialmente perché egli abusa del suo potere per farla franca anche a costo di far morire il legittimo marito di Betsabea. Quest’ultima, infatti, è malauguratamente rimasta incinta, Davide cerca di persuadere il suo fido soldato Uria l’hittita a unirsi a sua moglie (perché il figlio sembri suo), lo fa anche ubriacare ma niente, il militare è integerrimo e non si concede il lusso dell’unione coniugale durante i giorni in cui i suoi compagni sono al fronte.
Davide è costretto dalla sua ubris (sfrontatezza blasfema) ad un gesto estremo: far porre Uria nella zona più pericolosa della battaglia così che sia ucciso. Si è liberato di un uomo ma ha sconvolto profondamente il cuore di Dio che, attraverso la parabola raccontata dal profeta Natan, porta il suo prediletto sulla via del pentimento (2Sam 12,1-12). Si immagina che il Miserere, il salmo 50, sia cantato da Davide proprio come massima espressione del dolore per la colpa commessa. Il pianto che si riversa su se stesso e sul figlio di Betsabea che il profeta ha vaticinato dovrà morire. Noi non capiamo questa logica del capro espiatorio, sta di fatto che Davide si salva, “il figlio della colpa” no. Che responsabilità aveva il neonato? E sua madre a vederselo strappare? Davide dopo aver compiuto digiuno ed espiazione è come se fosse un uomo nuovo e nell’unirsi a Betsabea per consolarla del lutto, concepisce Salomone, il figlio che gli succederà sul trono.
Il peccato di Davide è stato quello di aver considerato Betsabea, non come una donna, quindi una persona con la sua immensa dignità di figlia di Dio, quanto piuttosto come una cosa da poter possedere a suo piacimento. Il re abusa del suo potere. All’interno delle dinamiche famigliari, paradossalmente, è ancora più facile che a livello amicale, cadere nell’errore di credere che gli altri siano “tuoi”, che tu possa disporre di loro a tuo piacimento. Ciò riguarda molto spesso il rapporto fra moglie e marito, ma avviene anche nella relazione con i figli, quando, per esempio, non si è capaci, come genitori, di lasciarli liberi di scegliere la loro strada e la loro vocazione che è sempre unica, intima e spesso non si può dall’esterno pretendere di capirla pienamente. In famiglia è necessario vigilare sempre con molta attenzione perché non ci sia chi domina sull’altro, anche dal punto di vista psicologico è assai importante rifuggire atteggiamenti di prevaricazione. Come sottolinea bene il nuovo rito del matrimonio non si “prende” l’altra persona, ma la si “accoglie” nella sua libertà. Ogni volta che la logica del dono è sostituita dalla logica del possesso ecco che è necessario convertirsi – una conversione che dura una vita – e avere il coraggio di chiedere perdono alla persona ferita e a Dio stesso. La dimensione della donazione non è qualcosa che all’uomo viene spontanea: è frutto di un allenamento costante, è ricevuta attraverso la preghiera, perché si alimenta di una forza, la Grazia, che non viene da noi stessi, ma è concessa dal Signore nella misura in cui sappiamo chiederla, direi quasi elemosinarla giorno per giorno, domandando un cuore puro, capace di amare senza condizioni.