La pace? Costruiamola sui banchi di scuola
Insegnare a “fare pace” non è una materia che segue delle lezioni prestabilite, da memorizzare sfogliando un libro o annotando, dal proprio banco, le formule scritte sulla lavagna. È un lavoro che coinvolge indistintamente alunni, docenti e genitori, e che richiede tempo, empatia e conoscenza di chi si ha davanti. Come dimostra l'esperienza di Fondazione Fontana e delle cooperative impegnate nelle scuole padovane.
Una piantina colorata appoggiata nel bagno freddo e asettico delle ragazze all’interno di una sezione dell’istituto agrario San Benedetto da Norcia di Padova
Un piccolo gesto non invasivo, ma accogliente che spezza la quotidianità infondendo curiosità e armonia.
«Chi ha messo quella piantina?», è stata la prima reazione alla nuova scoperta. Così gli educatori di ConTatto Cemea Veneto, cooperativa di formazione attraverso la metodologia attiva, sono entrati in rapporto con gli studenti.
«La bellezza del gesto di pace è il suo essere contagioso – spiega Luciano Franceschi, pedagogista e responsabile educativo – È stato il primo modo per farci conoscere; poi a piccoli passi continui, ci siamo inseriti, abbiamo fatto capire il nostro metodo di lavoro, senza insegnamenti eclatanti: non obblighiamo a fare la pace. È importante perché i ragazzi sono nella fase della ricostruzione della propria identità, tra preadolescenza e adolescenza, ed è necessario che assimilino, spontaneamente, azioni positive su cui si può costruire l’adulto di domani».
Insegnare a “fare pace” non è una materia che segue delle lezioni prestabilite, da memorizzare sfogliando un libro o annotando, dal proprio banco, le formule scritte sulla lavagna.
È un lavoro che coinvolge indistintamente alunni, docenti e genitori, e che richiede tempo, empatia e conoscenza di chi si ha davanti. Più che un laboratorio, servono una presenza costante, un metodo e uno stile per creare dinamicità, invogliare magari i più piccoli ad abbracciarsi al termine di un litigio, dopo aver compreso e spiegato le ragioni di entrambi.
Ma è un percorso che si scontra con una realtà scolastica rigida, classicista, nella quale spesso manca serenità: «Per parlare di pace non possiamo slegarci dal concetto di conflitto – continua Chiara Candeo, educatrice della cooperativa – La socialità passa non dal non stare tutti fermi e muti, con l’illusione di aver creato uno stato pacifico, ma dal conflitto che va compreso e non compresso o solamente punito. Si chiede ai ragazzi di essere un gruppo, di andare d’accordo, ma spesso incontrano adulti che non ascoltano le difficoltà che, se represse, rischiano di sfociare in atti di violenza. Quando uno studente viene sospeso, oltre alla punizione, abbiamo visto che se diamo la possibilità di fare un’attività, di riscattarsi, in lui nasce una riflessione, fa pace con sé stesso e di questo trae beneficio tutta la collettività».
Chiara, sul tema della conflittualità, ha organizzato dei laboratori per la fondazione Fontana nel programma World social agenda, un percorso culturale di sensibilizzazione e informazione nato nel 2000 e che ogni anno si sofferma su temi sociali e internazionali.
Coinvolgendo le scuole, il programma, dal titolo “Armi e bagagli”, nell’ultimo biennio ha sollecitato una riflessione sulla guerra e sulla pace, ma anche sulle migrazioni e sul diritto al futuro.
«Abbiamo lavorato assieme a 138 scuole, tra primarie, medie e licei, indagando sul tema del conflitto come situazione relazionale, quindi dal tema generale mondiale al tema personale – racconta Francesca Benciolini, referente del progetto – Una visione macroscopica della guerra, ma anche una dimensione quotidiana che si innesca quando entriamo in relazione con qualcuno o con noi stessi. Abbiamo chiesto la partecipazione dei genitori perché è un insegnamento che va vissuto nella quotidianità, costantemente».
Molteplici attività che hanno portato i ragazzi a ragionare sulla guerra, a prendere coscienza di come sia facile costruirsi un nemico semplicemente perché si ha un punto di vista differente, a riflettere sul rispetto reciproco, elementi essenziali sui quali fondare la pace oggigiorno.
Tra gli istituti inseriti nella World social agenda c’è anche il liceo artistico Modigliani: «Siamo partiti dall’idea di ponte in contrasto ai muri, fisici e mentali, che sempre più spesso vengono innalzati – spiega la docente Annarita Donadei, che ha lavorato assieme alle colleghe Rita Servello e Marisa Nardo – Unendo le idee di tre classi, abbiamo costruito quattro archi sui quali, in progressione, i ragazzi hanno affisso prima opere in bianco e nero marcatamente segnate dalla guerra, dall’eco della distruzione e della fame, arrivando, in conclusione, a disegni più colorati e distensivi che veicolano un senso di pace e un messaggio speranza».