Dalla cura al prendersi cura del malato
Cure palliative e terapia del dolore: a Padova un'équipe dà una risposta efficace sia al dolore, sia a tutti i sintomi della malattia non più guaribile e sia ai bisogni umani e spirituali. Il “sollievo della sofferenza” è una pratica indispensabile della medicina contemporanea, che riporta al tempo stesso all’essenza profonda della pratica medica. Perché tutte le indagini dimostrano che non si chiede l’eutanasia se si ricevono risposte adeguate.
«In quest’anno del giubileo della Misericordia non possiamo passare sotto silenzio la necessità della cura del malato, del prendersi cura, del rispetto della persona e della sua dignità. È necessario tornare al senso più profondo della medicina e riappropriarsi della morte».
Sono Paolo Benciolini, docente di medicina legale e presidente del comitato etico per la pratica clinica dell'Azienda ospedaliera di Padova ed Enzo Valpione, medico di famiglia e medico del Nucleo cure palliative territoriali dell'Ulss 16, a spiegare come il “sollievo della sofferenza” sia una pratica indispensabile della medicina contemporanea che, paradossalmente, chiede di tornare all’antico, vale a dire all’essenza profonda della pratica medica.
«È in atto da alcuni anni una silenziosa ma preziosa ed efficace iniziativa – spiega Paolo Benciolini – che sta coinvolgendo molti medici di medicina generale attraverso un lavoro formativo affidato ad alcuni loro colleghi e che ha realizzato una vera “rete territoriale” che si propone di portare il sollievo vicino alle persone. Questo perché tra i doveri del medico la deontologia comprende non solo il trattamento del dolore, ma anche il sollievo della sofferenza».
Un aiuto importante è arrivato dalla legge 38/2010 che ha posto la questione come elemento culturale e ha consegnato ai medici una serie di strumenti indispensabili per aiutare i pazienti
«Lo snodo culturale fondamentale – racconta Enzo Valpione – è quello che vede il medico passare dalla cura al prendersi cura, al considerare quindi la sofferenza come situazione globale, che investe sia il malato nella sua interezza come persona, che i suoi famigliari. Oltre alla sofferenza fisica c’è quella psicologica, ci sono progetti di vita che vanno in fumo. La figura dello psicologo diventa fondamentale ed è necessario che intervenga anche nel post evento, prendendosi cura dei familiari che devono elaborare il lutto, fare i conti con la realtà».
Illuminanti le testimonianze dei parenti presentate all’incontro “Portare il sollievo vicino alle persone” tenuto a Padova in primavera
«Ciò che ha caratterizzato maggiormente l’esperienza sono state l’attenzione per la persona del malato e il rispetto per la sua dignità. Sempre puntuali e discreti, pronti nel guidarci nel percorso doloroso verso il distacco dalla vita. Non saremmo riusciti a reggere il peso psicologico e le difficoltà se anche noi familiari non fossimo stati sostenuti psicologicamente e umanamente», ha raccontato una sorella che in pochi mesi ha visto ammalarsi e morire il fratello, riportando anche le parole del medico: «Ci vuole grande umanità per capire che la cosa più difficile da sopportare è il dolore e che la cosa di cui abbiamo più bisogno è che nel dolore ci sia qualcuno con noi».
Valpione, che sostiene l’importanza delle cure palliative da sempre, ricorda con commozione un sabato pomeriggio dell’ottobre di un anno fa quando Michele, 41 anni, è morto a casa sua accompagnato da tante persone, come testimonia anche la sorella: «Mi sono sentita impotente e incapace di gestire la situazione. Dovevo chiamare il 118? Non lo sapevo, ma prima ho chiamato il medico palliativista che ha seguito Michele assieme al team nell’ultimo mese: Il dottore è arrivato in breve tempo e ha risolto la crisi con i farmaci previsti. In quelle poche ore rimaste Michele ha avuto vicino tante persone: infermieri, medici, amici, parenti e anche il nostro parroco. E la nostra famiglia non si è sentita sola».
Occorre cambiare mentalità, quindi
«La medicina di famiglia deve recuperare la propria immagine – aggiunge Valpione – Le cure palliative sono l’unico modo per rispondere all’angoscia del dolore. Non si chiede l’eutanasia se si ricevono risposte. L’assenza di dolore consente il recupero della dimensione umana e la pace è sinonimo di equilibrio interiore».
Quando si avvicina la fase terminale, in presenza di sintomi non più controllabili, accogliendo la volontà del paziente si procede alla “sedazione palliativa”, che permette di garantire la qualità di vita anche negli ultimi istanti. «Non si tratta di eutanasia, ma del rifiuto dell’accanimento – sottolinea Benciolini – Il lavoro di questi staff delle cure palliative domiciliari, inoltre, consente di diminuire i ricoveri e portando i servizi a casa si risparmia, ma soprattutto si risponde ai bisogni dei malati e dei familiari».
La legge e le risposte sul territorio
Dal 2010, per il cittadino italiano, non provare dolore è un diritto sancito dalla legge 38: “Disposizione per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, legge che garantisce che le strutture sanitarie assicurino un programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia.
In Veneto la normativa era stata anticipata nel 2009 con la legge regionale 7 che all’articolo 1 afferma: «La regione del Veneto con la presente legge garantisce adeguate cure palliative ai malati in stato di inguaribilità avanzata o a fine vita, volte ad assicurare agli stessi e ai loro familiari una migliore qualità di vita, nonché l’accessibilità a trattamenti antalgici efficaci disciplinando il sistema di tutela delle persone con dolore» e all’articolo 2 precisa: che «Le cure palliative sono erogate secondo i desideri del malato e dei suoi familiari o di chi esercita la patria potestà, prevalentemente a domicilio o in strutture residenziali dedicate alle cure palliative, limitando il ricorso al ricovero ospedaliero».
A Padova sono stati organizzati numerosi corsi di formazione e dal 2011 è divenuto operativo il Nucleo cure palliative territoriale formato da medici, psicologi e infermieri che dal 1 gennaio di quest’anno è strutturato con un primario, il dottor Giuseppe Gagliardi, per seguire sia i pazienti oncologici che quelli non oncologici che necessitano di cure palliative. Inoltre sono sorti ambulatori per la terapia del dolore nella struttura ai Colli, all’ospedale Sant’Antonio e in quello di Piove di Sacco. L’équipe dà una risposta efficace sia al dolore, sia a tutti i sintomi della malattia non più guaribile e anche ai bisogni umani e spirituali. L’Ulss ha sempre finanziato il progetto.
Nel 2015 il Nucleo cure palliative territoriali dell’Ulss 16 ha assistito 881 pazienti, la maggior parte dei quali oncologici e circa il 70 per cento di questi è morto a domicilio o nell’hospice accanto ai propri cari.
Da circa due anni esiste una centrale operativa territoriale con infermieri che rispondono 24 ore al dì tutti i giorni della settimana, inoltre nei turni di guardia medica è presente un medico formato per le cure palliative. Ciò assicura un’assistenza continua ai pazienti e permette che anche situazioni critiche possano essere risolte a domicilio, evitando ospedalizzazioni improprie e decessi in ospedale piuttosto che a domicilio, come desiderato dai pazienti e dai loro familiari.
Per rispondere ai bisogni dei pazienti e dei familiari durante i momenti critici della malattia l’Ulss si è dotata di hospice: sono tre, accolgono i malati difficilmente gestibili a domicilio e in tal modo danno sollievo ai familiari.