La “quarta onda” cinese in Thailandia. Una migrazione che sollecita anche il “servizio evangelico”
La chiamano la “quarta onda” ed effettivamente sembra uno “tsunami” di persone cinesi che in questi ultimi anni stanno visitando, acquistando, aprendo locali e influenzando la cultura e le usanze thailandesi. Dal punto di vista dell’evangelizzazione questa si presenta come una grande opportunità, come lo potrebbe essere in ogni China town del pianeta. Il cristianesimo, pressoché oscurato e denigrato in patria, può essere avvicinato più facilmente nelle nuove destinazioni.
La riflessione di Don Attilio De Battisti, missionario fidei donum padovano che da quest'anno legge, ogni mese, per la Difesa l'evoluzione dell'Asia.
La chiamano la “quarta onda” ed effettivamente sembra uno “tsunami” di persone cinesi che in questi ultimi anni stanno visitando, acquistando, aprendo locali e influenzando la cultura e le usanze thailandesi.
Dopo l’ondata degli anni 1920-40, caratterizzata da gente disperata, in fuga da conflitti interni e in ricerca di un futuro migliore (la “terza onda”) c’era stata una pausa dovuta al timore thailandese per l’ideologia comunista. Fino agli anni ’80-’90 questa popolazione aveva messo radici stabili nelle classiche China town di ogni città (ho avuto modo di vivere nella China town di Bangkok durante il periodo di studio della lingua thailandese...).
Aveva assimilato la lingua, lo spirito, gli usi locali e si era integrata moltissimo pur mantenendo l’orgoglio della propria provenienza. Non era nazionalista e volentieri si era ricostruita una vita in Thailandia, anzi, grazie alla sua laboriosità e intraprendenza aveva sfondato su vari fronti del business.
Alcune di quelle famiglie avevano anche aderito al cristianesimo contribuendo significativamente alla crescita della chiesa cattolica thailandese. Dalle file dei discendenti di quella generazione provengono nomi illustri nell’episcopato locale, nella lista dei maggiori benefattori e la maggior parte dei cattolici “thailandesi” (unitamente al gruppo dei migranti vietnamiti). Se la chiesa thailandese oggi conta su enormi plessi scolastici e su strutture all’avanguardia lo deve grandemente ai contributi cinesi.
Questa nuova generazione, “la quarta onda” appunto, ha caratteristiche diverse: livello formativo superiore, meno desiderio di inculturazione, attaccamento alla madre-patria, aspirazioni accentuate al business e sogno di spostarsi in altri paesi (Usa, Europa, Australia).
Questo nuovo movimento migratorio, nato sotto la stella delle politiche di apertura economica e dell’ammodernamento della nazione intrapreso da Deng Xiaoping, punta soprattutto all’estensione dell’influsso socio-economico della Cina nell’area. Non mancano finalità esplicitamente strategiche e militari (vedi il caso delle discusse isole Filippine che la Cina tenta di assimilare non più a suon di cannoni e militari, ma con massicci insediamenti di turisti. La stessa strategia di “occupazione” è stata fatta sistematicamente in Tibet e a Hong Kong...).
In Thailandia ormai stanno espandendosi a macchia d’olio i servizi che hanno i cinesi come target: in parecchie zone la cartellonistica e le indicazioni sono in lingua cinese, i locali offrono cibi, oggetti e “pacchetti” graditi al palato cinese.
Lo stesso turismo punta sulla Cina. Nel 2014 i turisti della Cina sono stati quasi 8 milioni con un aumento del 70 per cento sull’anno precedente. E la crescita è esponenziale grazie anche a iniziative quasi pazzesche delle agenzie cinesi (le zero-dollar-tours) che portano anche in autobus migliaia di turisti. Il Nord è meta privilegiata e Chiang Mai resta il loro sogno. Se politicamente questa espansione doveva essere temperata con l’unione dei dieci paesi del sudest asiatico (Asean), la Thailandia, con i generali alla guida dopo il colpo di stato del 2014, sta tessendo fittissime relazioni commerciali e militari proprio con l’omologo regime cinese.
Dal punto di vista dell’evangelizzazione questa si presenta come una grande opportunità, come lo potrebbe essere in ogni China town del pianeta.
Il cristianesimo, pressoché oscurato e denigrato in patria, può essere avvicinato più facilmente nelle nuove destinazioni. Non è semplice ma alcuni elementi rendono la missione possibile: maggiore apertura mentale delle nuove generazioni, versatilità nelle lingue internazionali, minore ideologizzazione.
Resta comunque faticoso affrontare la sfida del consumismo e materialismo spietato, certa apatia e disillusione dei giovani.
I contesti educativi (università e centri di specializzazione) sono terreno fertile per un approccio culturale alla fede e il settore lavorativo può offrire anche a operatori del settore l’occasione per testimoniare ai cinesi la fede.
Per molti missionari la Cina resta un obiettivo in cima alla lista, ma il servizio evangelico può estendere il suo benefico influsso attraverso cittadini cinesi che con coraggio sanno smarcarsi dalla vacuità del denaro grazie anche all’incontro con laici, professionisti, lavoratori, colleghi, studenti con fede “visibile” e valori coerenti.
don Attilio De Battisti
missionario fidei donum