La Germania: «In Armenia fu genocidio». A fine mese il papa a Yerevan
È alta la tensione diplomatica tra Germania e Turchia dopo che il Bundestag (la Camera dei deputati tedesca, ndr) ha approvato pressoché all’unanimità una risoluzione che definisce «genocidio» il massacro di un milione e mezzo di armeni da parte delle forze dell’impero Ottomano tra il 1915 e il 1916, tant’è che Ankara ha anche richiamato il proprio ambasciatore in Germania.
Sono passati 101 anni da quel 24 aprile 1915 data che gli armeni ricordano come Medz yeghern, il Grande crimine, vale a dire lo sterminio che portò alla quasi totale eliminazione della comunità armena in territorio ottomano.
Ma il tempo non cancella le divisioni e il ministro della Giustizia turco, Bekir Bozdag, ancora dichiara alla stampa: «Anche se tutti i parlamenti del mondo approvassero una decisione simile, non potrebbe infangare la nostra nazione e la nostra storia. Noi non abbiamo nulla di cui vergognarci».
L’evento passò sotto silenzio anche perché infuriava la prima guerra mondiale e solo dal cinquantesimo anniversario ha iniziato a essere riconosciuto come genocidio da un numero crescente di stati tra cui l’Italia (nel 2000), il Vaticano, l’Unione Europea, la Francia, la Russia e il Perù che fu il primo nel 1965.
Il termine genocidio, coniato dallo storico ebreo polacco Raphael Lemkin, indica quello armeno come il primo episodio in cui uno stato ha pianificato ed eseguito sistematicamente lo sterminio di un popolo.
Gli archivi dell’epoca, risistemati e messi a disposizione degli studiosi dallo scorso anno dalla santa sede, raccontano ogni singola fase del “Grande crimine”.
Lo sterminio fu ordinato dal governo ottomano presieduto dal partito dei Giovani turchi perché gli armeni rappresentavano un ostacolo per la costruzione di uno stato nazionale abitato esclusivamente da popolazioni di etnia turca e gli armeni erano ricchi, influenti e di religione cristiana.
La Turchia non ha mai accettato la definizione di genocidio perché quanto accaduto, afferma, è stata la risposta all’insurrezione degli armeni, ma dubbi storici su come si svilupparono veramente i fatti non ce ne sono: lo sterminio fu pianificato a tavolino.
Dall’inizio del 1915 gli armeni maschi in età da servizio militare erano stati concentrati in “battaglioni di lavoro” dell’esercito turco e poi uccisi, mentre il resto della popolazione era stato deportato verso la Siria. Le “marce della morte” coinvolsero più di un milione di persone e centinaia di migliaia di loro furono massacrate lungo la strada o morirono per fame e sfinimento.
Nel 2014 il presidente Erdogan ha espresso le sue condoglianze al popolo armeno, ma nonostante questo la Turchia non riconosce il genocidio.
Per gli armeni invece quanto accaduto un secolo fa è diventato parte dell’identità di un popolo che si batte per vedere qualificate le uccisioni come genocidio.
Dal 24 al 26 giugno papa Francesco sarà in Armenia e visiterà il Tzitzernakaberd memorial complex, il “museo del genocidio”, dove Giovanni Paolo II nel suo viaggio del 2001 pregò con parole che ricordavano l’impegno dei pontefici per scongiurare il genocidio.
Momenti salienti del viaggio saranno una preghiera per la pace, una dichiarazione congiunta e un pranzo ecumenico con la chiesa apostolica armena, ovvero la chiesa cattolica ortodosso gregoriana, considerata una delle comunità più antiche del mondo. Chissà se anche questa volta il governo turco ritirerà l’ambasciatore.
Antonia Arslan: «Breccia nel negazionismo ottuso»
Antonia Arslan, classe 1938, nel 2004 ha scritto "La masseria delle allodole", romanzo che ha fatto conoscere le vicende del popolo armeno al grande pubblico e che tre anni dopo è stato portato sul grande schermo dai fratelli Taviani.
Da allora la scrittrice di origini armene è diventata la testimonial per eccellenza del Medz yeghern, il “Grande crimine”.
Come valuta il voto del Bundestag?
«Si tratta, senza dubbio, di un voto importante perché durante la prima guerra mondiale l’impero tedesco era alleato dei turchi e in Anatolia all’epoca c’erano molti tedeschi: militari, commercianti, ingegneri che lavoravano alla costruzione della ferrovia Berlino-Istanbul. Molti anche i missionari protestanti che gestivano collegi e scuole. Numerosi soggetti che hanno assistito alla tragedia che ha travolto il popolo armeno. Alla fine del 1915 i morti erano un milione e mezzo: non si può negare un evento così palese. Questo voto afferma che ci fu una complicità passiva: riconosce che loro erano lì e non hanno fatto niente. Inoltre questo riconoscimento aiuta coloro che combattono all’interno della Turchia e rischiano la vita ogni giorno».
Da dove nasce questa scelta di affermare il genocidio?
«Questo voto arriva al termine di un percorso culturale e morale che ha coinvolto molti tedeschi a partire dai politici e dagli intellettuali. Da almeno vent’anni la Germania lavora su questo tema e la risoluzione votata pressoché all’unanimità dal Bundestag non nasce a caso ma da un grande lavoro di ricerca storica. Lo dimostra in maniera eccellente il documentario Aghet girato da Fiedler nel 2007 cui hanno partecipato numerosi attori famosi. Significativo il titolo: Aghet in armeno vuol dire catastrofe».
Questa decisione apre un nuovo percorso per il popolo armeno?
«Sono felice di questa decisione anche se rappresenta solo un tassello di un percorso ancora lungo visto che in 50 anni sono 22 le nazioni che hanno riconosciuto il genocidio. Siamo di fronte a un negazionismo ottuso e anche il fatto che la Turchia abbia richiamato l’ambasciatore rappresenta solo un balletto diplomatico così come già avvenuto con il Vaticano. L’anno scorso, infatti, papa Francesco ha usato la parola genocidio per indicare la tragedia subita dal popolo armeno, ma già nel 2001 questa parola venne pronunciata da papa Giovanni Paolo II».
Come vede il futuro?
«Io sono fiduciosa perché gli italiani sono generosi e il fatto che il mio libro La masseria delle allodole sia alla 36a edizione mi emoziona perché vuol dire che la storia ha fatto breccia non solo tra i duemila armeni italiani».