«Il matrimonio? Funziona solo se c'è un chiaro progetto di vita»
Italo De Sandre, sociologo e osservatore attento dell'evoluzione e dei cambiamenti in atto, riflette sul matrimonio oggi partendo dalla trasformazione del modo di vivere l'intimità: «Se quel che conta è lo “stare bene” insieme, nascono coppie “a responsabilità limitata”, un modo di pensare che è presente anche in altri ambiti della società. Ma così quando nascono difficoltà è più faticoso convergere e c’è un'alta probabilità di lasciarsi».
Guardare al matrimonio significa approfondire il cambiamento della forma famiglia e soprattutto della società, con nuovi modi di fare coppia che spesso prescindono dal matrimonio, dallo sposarsi. Italo De Sandre, sociologo e osservatore attento dell'evoluzione e dei cambiamenti in atto, ne traccia un quadro partendo dalla trasformazione del modo di vivere l'intimità e guardando avanti.
A un'età maggiore, ma si sceglie ancora di sposarsi. Perché?
«Ci si sposa più tardi perché i ragazzi vivono più a lungo in famiglia, e qui l'Italia ha un primato, poi per il prolungamento dell'iter degli studi e per la difficoltà di trovare un lavoro che soddisfi. Dagli anni Novanta in poi il lavoro è precario, flessibile, fenomeni che coinvolgono pienamente anche le donne che cercano di costruirsi un percorso di autonomia. Ecco che i matrimoni arrivano più tardi, i bambini arrivano più tardi, le nozze tendenzialmente diminuiscono. Il leggero aumento segnalato dall'Istat per il 2015 in realtà è una minore diminuzione, perché il trend è quello. Nei matrimoni ci sono inoltre da considerare le seconde nozze. A sposarsi di nuovo sono di solito persone mature, più gli uomini che le donne (forse con l'obiettivo di cercare un sostegno?). Il dato che sta crescendo è quello delle coppie giovani che convivono, molti per sposarsi in un secondo momento, molti per scelta senza mai arrivare alle nozze. Sono percorsi in profonda trasformazione».
Un'istituzione che quindi ha perso appeal?
«Io sono convinto di no ma esistono quelle “trasformazioni dell'intimità” ben analizzate già nel libro degli anni Novanta che porta questo titolo dal sociologo inglese Anthony Giddens».
«I giovani si mettono insieme perché ciascuno dei due sta individualmente bene insieme con l’altro, e così impostato questo “stare bene” vale solo finché funziona. Alla sua base, infatti, ci sono bilanci individuali che sono sempre molto a rischio. Se a un componente della coppia viene meno l'entusiasmo, l'altro può anche essere di parere contrario ma la coppia si scioglie. Si tratta di una coppia “a responsabilità limitata”, un modo di pensare che è presente anche in altri ambiti della società. E qui si aprono una serie di problemi nello sviluppo della coppia, perché quando nascono difficoltà è più faticoso convergere e c’è un'alta probabilità di lasciarsi. Diverso il discorso quando una coppia si forma perché i due hanno un progetto condiviso di vita, non solo religioso ma anche laico, il lavoro ad esempio. Avere un progetto è diverso dallo stare bene insieme, perché per andare avanti ci si attrezza per fare un cammino lungo».
Partendo dal concetto di famiglia e di matrimonio e guardando la società attuale, possiamo parlare di un binomio che si è “spezzato”?
«Per capire la realtà, non ci si può limitare a vedere solo il bianco o il nero, serve osservare le sfumature, il formarsi delle differenze. Nella storia sociale recente sono emersi diversi modi di fare coppia, di far famiglia, non si deve fare di ogni erba un fascio. Le differenze sono importanti da capire.
Già negli anni Settanta, e a prescindere dal divorzio, le forme familiari erano diverse: famiglie in cui solo il marito lavorava fuori casa e la moglie in casa, famiglie a doppia carriera con marito e moglie impegnati e un aiuto esterno in casa per le faccende domestiche, famiglie simmetriche in cui anche il marito collaborava nella gestione dei figli.
Con separazioni e divorzi sono comparse le famiglie monoparentali, normalmente centrate su mamma e figli, prodotte dalla divisione della prima coppia, e ancora le step families, le famiglie dei risposati. Altro discorso ancora sono le convivenze, quelle che venivano chiamate more uxorio e adesso sono semplicemente convivenze. Queste forme sono sicuramente cresciute, tanto che un bambino su tre, secondo i dati Istat, nasce al di fuori del matrimonio.
Non c'è insomma un unico modello di famiglia, di “divisione del lavoro” retribuito e domestico. Ci sono meno famiglie istituzionali-tradizionali, più modelli scelti sulla base del modo di pensare e delle possibilità di vita dei componenti della coppia. Non è rilevante quindi fermarsi al binomio "spezzato", ma guardare ai problemi delle vecchie e nuove forme delle famiglie».
"Per sempre": chi si sposa crede sia ancora una possibilità?
«I riti di passaggio sono importanti ma il passaggio all'età adulta non è più segnato esclusivamente dal matrimonio. Quello che è cambiato è il modo di pensare. Il "per sempre" di fatto lo si ottiene alla fine, mentre per la tradizione è un obbligo che si riceve all’inizio. Quando dico "per sempre", nella vita turbolenta di oggi, come sarà non lo so.
Sia che voglia sposarmi in chiesa o anche civilmente, la parte romantica dell'amore chiede il “per sempre”. Ma gli obblighi preesistenti sono sempre meno accettati: tanto più il “per sempre” è vissuto come obbligo, tanto più ha scarse possibilità di funzionare. Se è invece parte di un progetto condiviso di vita, allora capisco che devo concordare sì dove vado in vacanza ma anche come si affrontano insieme problemi gravi, con la volontà di farsi aiutare quando necessario. Il “per sempre” lo vedo parte di un progetto che non si ferma a una questione individuale ma si allarga alle famiglie di provenienza, agli amici, alla comunità.
In primo luogo bisogna che diventi parte di un cammino, e in secondo luogo bisogna che in quel cammino interagisca un gruppo, non la sola coppia. Per questo è importante avere amici con cui condividere il percorso».
«Non ci sposiamo perché costa troppo»; «Non ci sposiamo perché costa troppo divorziare»: frasi che descrivono tendenze reali della nostra società?
«Questo è un problema complesso, di natura economica oltre che sociale tra generazioni. Sono spesso le generazioni anziane che aiutano i giovani in questo momento. La precarietà della condizione economica ha un grosso peso nel rimandare la decisione di stare insieme e soprattutto quella di avere un figlio, che è l'unica realtà irreversibile. Con l'ultima legge sulle unioni civili è stata introdotta un’altra forma di stare insieme: quindi oggi abbiamo matrimonio religioso, matrimonio civile, unione civile e poi convivenza.
Se già le norme propongono tre forme codificate di stare insieme e la quarta è accettata dalla società, questo significa un cambiamento del controllo sociale. Queste quattro possibilità non esistevano fino a poco tempo fa. La convivenza è vista spesso come un passaggio, il matrimonio chiede alla coppia di prendere un impegno pubblico. In questa società complessa la gente deve imparare a scegliere. Se parliamo poi di divorzio, la discriminante resta il primo passo, il matrimonio.
Non è questione di costi, ridotti con il divorzio breve. Il percorso che finisce con il divorzio è scabroso, doloroso e i giovani lo sanno bene. Sposarsi pensando di separarsi non ha senso. Prendere un impegno è legato a un progetto di vita. Non sarà subito, si aspetta magari la nascita del primo figlio, ma poi si fa una scelta che non è più una scelta riparatrice o legata al fatto che i genitori non hanno aiutato i figli».
Rito civile, rito religioso. C'è una differenza nella scelta?
«Le convivenze sono in aumento, i matrimoni civili nel Centro Nord hanno superato quelli religiosi. Il matrimonio come legame pubblico è accettato, il matrimonio religioso dovrebbe a questo punto essere ancora più una scelta. C'è chi sceglie di sposarsi in chiesa perché crede e organizza le sue nozze con grande gioia e nei dettagli. Già dopo il Concilio si diceva che la fede deve essere frutto di una scelta e non per tradizione: il matrimonio in questo paniere di scelte ancor più va selezionato e fatto proprio».
Matrimonio religioso e sacramento: qualcuno lo vive ancora?
«Guardando alla storia della chiesa, si scopre che secoli fa il matrimonio era una benedizione, poi con sviluppi successivi ha assunto la forma sacramentale che conosciamo. Il matrimonio-sacramento è importante quando è vissuto all'interno di un progetto di vita con gli sposi e la comunità protagonisti. Un progetto umano, relazionale, religioso. Siamo piuttosto indietro nella preparazione dei giovani e degli adulti, che devono essere sempre più capaci di fare insieme molte cose, dove l’insegnamento che funziona meglio è il buon esempio. C'è un grande lavoro da fare e anche all'interno della comunità ecclesiale serve dare spazio alle coscienze, al dialogo, al discernimento in questa società sempre più complessa».