Il primo figlio dopo i 35 anni. Il mito dell'eterna giovinezza mette a rischio il futuro
In Italia l'età media a cui si fa il primo figlio si è spostata tra i 35 e i 36 anni, con una complicazione in più: quando si decide lo si vorrebbe subito. L'esperienza e le riflessioni di Francesca Vasoin, ginecologa, da trent'anni al servizio della fecondità.
Età media più alta per il primo figlio, coppie che quando iniziano a cercarlo non sono disponibili ad accettare i tempi della natura.
Ma anche maggiore consapevolezza e più preparazione nei confronti della gravidanza. Francesca Vasoin de Prosperi, ginecologa e medico della fertilità, si occupa di nascite e di gravidanze dal 1988. Ha lavorato al centro per la procreazione assistita dell'ospedale di Cittadella, attualmente fa parte dell'équipe del professor Foresta e collabora con diversi gruppi italiani e stranieri.
«Quando ho iniziato a lavorare, la gravidanza era la logica conseguenza del matrimonio – racconta – con donne più giovani che arrivavano da me incinte senza averlo programmato, felici di accogliere il figlio. La condizioni femminile è cambiata: la donna segue un iter scolastico, lavorativo e di carriera che ha portato a un'età media di 35/36 anni per la prima gravidanza, con tutte le conseguenze anche patologiche che questo può comportare».
Caso diverso per i figli successivi
«Se la prima gravidanza è stata impegnativa – spiega – le donne sono più restie ad affrontarne una seconda. Se il primo figlio è stato concepito in età precoce tutto risulta più semplice. I casi di terzo e quarto figlio dipendono molto da come una donna ha impostato la sua vita».
Da medico che pratica la fecondazione assistita, Francesca Vasoin ne traccia un bilancio onesto
«La donna rischia di sentirsi eternamente giovane. La vita si è allungata, è vero, ma la menopausa arriva ancora a 50 anni e a 35 anni la fecondità è già nella sua parabola discendente. Detto questo mi trovo spesso di fronte a coppie che non accettano la fatica del concepimento. Viviamo in un'epoca dove si chiede massima efficienza, tanto che l'uomo e la donna si aspettano sempre di trovarla in se stessi e anche nella capacità di procreare».
«In questo hanno atteggiamenti completamenti diversi: le donne sono disponibili a fare esami costosi e invasivi, mentre l'uomo mostra notevole ritrosia anche nell'affrontare esami banali e poco impegnativi. La ricerca di una gravidanza coinvolge entrambi e in questo senso è importante che la coppia sia affiatata e pronta ad affrontare un percorso di ricerca. Ho coppie giovani che si avvicinano al percorso di fecondazione assistita, altre più vecchie. Molto spesso la fecondazione è vista come l'ultima spiaggia e non come un'opportunità della medicina moderna. Ci sono anche nuovi fenomeni come il social freezing, opzione che sta prendendo piede all'estero più che in Italia, che spinge le donne in carriera o che non hanno ancora trovato il partner a congelare gli ovociti per riprenderli quando le condizioni di vita saranno favorevoli a una gravidanza. Questa tecnica rappresenta una possibilità e una speranza di vita per una donna affetta tumore. In casi diversi la considero deprecabile: non è fisiologico e contrario alla mia etica professionale».
Ci sono poi coppie che pur concependo spontaneamente si trovano ad affrontare la gravidanza di un bambino malformato o affetto da malattie genetiche: «Pochi tra i miei pazienti – spiega Francesca Vasoin – hanno deciso di abortire anche bambini destinati a morire in grembo o a sopravvivere un breve periodo dopo la nascita. Coppie coraggiose che ammiro profondamente».